Il Piano Regionale della Prevenzione 2021-2025

Piano Regionale della Prevenzione 2021-2025. È stato approvato a dicembre 2021 il Piano Regionale della Prevenzione (PRP) 2021-2025 dell’Emilia-Romagna. Il Piano si pone in continuità con obiettivi e indirizzi della L.R.19/2018 Promozione della salute, del benessere della persona e della comunità e prevenzione primaria.

Vision

La “Salute in tutte le politiche” costituisce il quadro di riferimento del Piano Regionale della Prevenzione (PRP) 2021-2025. Questa cornice concettuale, che riconosce la salute come un complesso sistema dipendente da fattori e determinanti personali, socioeconomici e ambientali, viene ulteriormente valorizzata dalla L.R. 19/2018 sulla Promozione della salute.

Azioni trasversali

Le azioni trasversali comunicazione, equità, formazione e intersettorialità accompagnano l’attuazione di tutti i Programmi del PRP presentati di seguito, sia in ambito regionale che territoriale.

In particolare, l’intersettorialità è garantita dallo stretto collegamento con la L.R. 19/2018, che promuove l’adozione di una “Strategia Regionale per la promozione della salute e la prevenzione”.

Tale strategia persegue l’integrazione e il coordinamento di obiettivi e azioni delle programmazioni regionali relative ai diversi ambiti settoriali. La Strategia regionale rappresenta quindi l’orizzonte in cui si colloca la declinazione dell’azione trasversale intersettorialità, come definita dal Piano Nazionale della Prevenzione (PNP).

Organizzazione

La governance del PRP poggia su una Cabina di regia coordinata dal Responsabile Regionale del PRP e a cui partecipano: i Responsabili Aziendali PRP, individuati dalle Aziende USL; i Responsabili dei 20 Programmi di cui si compone il Piano; ANCI-Emilia-Romagna; un Gruppo di supporto organizzativo.

A livello territoriale ogni Azienda USL ha adottato una propria organizzazione per l’implementazione del PRP nel periodo 2022-2025, prevedendo almeno un Responsabile
Aziendale (riferimento anche per l’azione trasversale Intersettorialità) e Referenti per ciascun Programma e per ciascuna delle Azioni Trasversali equità, comunicazione e
formazione.

Piano Regionale della Prevenzione 2021-2025
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Rifiuti sanitari sterilizzati

Rifiuti sanitari sterilizzati: i chiarimenti del Mase. Il dicastero ha risposto a un interpello ambientale della Regione Toscana. Sono assimilabili ai rifiuti urbani indifferenziati a prescindere dalle modalità di smaltimento successive.

I rifiuti sanitari a solo rischio infettivo sono sottoposti al regime giuridico dei rifiuti urbani se preliminarmente sottoposti a un procedimento di sterilizzazione, effettuato presso le strutture sanitarie pubbliche e private, senza alcun condizionamento nelle modalità di smaltimento successive.

I rifiuti sanitari a solo rischio infettivo sterilizzati presso le strutture sanitarie rientrano nel regime dei rifiuti urbani “senza alcun condizionamento nelle modalità di smaltimento successive”.

È questa la risposta del MinAmbiente al primo quesito contenuto in un interpello presentato da una Regione avente ad oggetto il rapporto tra il Dpr 254/2003, regolamento nazionale per la gestione dei rifiuti sanitari che condiziona l’assimilazione dei rifiuti sanitari infettivi post sterilizzazione allo smaltimento in impianti di incenerimento di rifiuti urbani, e l’articolo 30-bis del Dl 23/2020, disposizione transitoria introdotta durante l’emergenza Covid-19, poi resa permanente dal Legislatore, che invece non vincola l’assimilazione in questione alla destinazione dei rifiuti (risposta ad interpello 6 marzo 2024, n. 43348).

In risposta a un secondo quesito, il MinAmbiente chiarisce poi che i rifiuti in questione, una volta assimilati agli urbani, possono essere conferiti al servizio pubblico di raccolta come rifiuto indifferenziato (codice Eer 200301) in quanto tale classificazione, prevista dal regolamento nazionale, si applica comunque considerato che il Dl 23/2020 “si inserisce – semplificando – in una disciplina già delineata dal richiamato Dpr n. 254 del 2003”.

Riscontro rifiuti sanitari

L’importanza delle competenze verdi nel mondo aziendale

L’importanza dellecompetenze verdi. Negli ultimi anni, la consapevolezza sull’impatto delle attività umane sull’ambiente è cresciuta notevolmente. Le aziende si sono rese conto dell’importanza di adottare pratiche sostenibili per preservare il nostro pianeta e rispondere alle sfide ambientali globali. In questo contesto, le competenze “verdi” sono diventate sempre più richieste nel mondo del lavoro.

Le competenze digitali e l’ambiente di lavoro sostenibile

Le competenze digitali sono diventate indispensabili nel mondo del lavoro moderno, ma come possono contribuire alla sostenibilità ambientale?

La trasformazione digitale e la sostenibilità

La trasformazione digitale delle aziende ha aperto nuove opportunità per ridurre l’impatto ambientale delle attività lavorative. Le competenze digitali consentono di ottimizzare i processi aziendali, ridurre il consumo di risorse e promuovere soluzioni innovative e sostenibili. Ad esempio, l’adozione di strumenti digitali per la gestione dei documenti e delle comunicazioni può ridurre l’utilizzo di carta e il consumo di energia.

Efficienza energetica e monitoraggio digitale

Le competenze digitali sono fondamentali per monitorare e ottimizzare l’uso dell’energia nelle aziende. L’implementazione di sistemi di monitoraggio energetico, grazie a sensori e dispositivi digitali, consente di identificare i punti critici di consumo energetico e di adottare misure per ridurlo. La gestione intelligente dell’energia può portare a significativi risparmi economici e a una riduzione dell’impatto ambientale.

Internet of Things (IoT) e sostenibilità

L’Internet of Things (IoT) offre nuove opportunità per rendere le aziende più sostenibili. La connessione tra dispositivi e sensori consente di raccogliere dati in tempo reale sull’utilizzo delle risorse, come l’energia, l’acqua e i materiali. Questi dati possono essere utilizzati per ottimizzare l’efficienza dei processi produttivi, prevenire sprechi e ridurre l’impatto ambientale complessivo.

Competenze verdi digitali per la mobilità sostenibile

La mobilità sostenibile è un altro ambito in cui le competenze digitali possono fare la differenza. L’utilizzo di soluzioni digitali per la gestione dei trasporti aziendali, come la condivisione dei veicoli, l’ottimizzazione delle rotte e l’utilizzo di veicoli elettrici, può contribuire a ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la qualità dell’aria nelle aree urbane.

Strumenti digitali per la comunicazione e la sensibilizzazione ambientale

Le competenze digitali sono fondamentali anche per la comunicazione e la sensibilizzazione ambientale all’interno delle aziende. L’utilizzo di strumenti digitali, come i social media, i siti web e le piattaforme di comunicazione interna, consente di diffondere messaggi e informazioni sulla sostenibilità in modo rapido ed efficace. Inoltre, le competenze digitali possono favorire la collaborazione e la condivisione delle best practice tra i dipendenti.

Sfide e opportunità nell’integrazione delle competenze digitali e “verdi”

Nonostante le numerose opportunità offerte dalle competenze digitali per promuovere la sostenibilità, ci sono anche sfide da affrontare. La formazione e l’aggiornamento delle competenze digitali devono essere accompagnati da una comprensione approfondita dei principi e delle pratiche legate alla sostenibilità. Inoltre, è importante garantire che l’innovazione digitale rimanga centrata sull’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e non diventi uno scopo a sé stante.

In conclusione, le competenze digitali possono svolgere un ruolo chiave nella promozione di un ambiente di lavoro sostenibile. Dall’efficienza energetica all’utilizzo di strumenti digitali per la comunicazione e la sensibilizzazione ambientale, le competenze digitali possono contribuire in modo significativo alla riduzione dell’impatto ambientale delle aziende. Tuttavia, è necessario un approccio olistico che integri sia le competenze digitali che le competenze “verdi” per affrontare le sfide ambientali e creare un futuro sostenibile.

Utilizzo dei cookie e cosa servono

La traduzione italiana di “cookie” è “biscotto”. L’origine del nome è stata collegata alla cosiddetta tecnica del “magic cookie” (“biscotto magico”), utilizzata in ambienti UNIX fin dagli anni Ottanta. Il termine “magic cookie” è stato attestato la prima volta in ambito informatico nel 1979, ma non è noto il motivo ufficiale per cui sia stato scelto questo nome. Utilizzo dei cookie

Questa doverosa premessa, però, non chiarisce l’aspetto centrale, cioè che cosa sono i cookie (anche noti come cookie web, cookie informatici, cookie del browser, cookie internet o cookie http). Si tratta, tecnicamente, di piccoli pacchetti di dati o file testuali che, in genere, includono il nome di un sito web e un codice ID utente univoco e che servono a far sì che il server del sito web che li ha installati sia in grado di ottenere informazioni sulla specifica attività che l’utente compie all’interno delle sue pagine web.

Oggi parleremo dell’utilizzo dei cookie e di cosa servono.

Sono sicuro che molti di voi si chiedono cosa siano esattamente i cookie e perché sono così importanti quando navighiamo su internet. Quindi, ecco una breve spiegazione su questo argomento.

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Ma a cosa servono i cookie? Utilizzo dei cookie.

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DVR inadeguato

Cassazione Penale, Sez. 4, 29 gennaio 2024, n. 3405. Con sentenza n. 3405 del 29 gennaio 2024, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che la redazione del documento di valutazione dei rischi e l’adozione delle misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando per un errore nell’analisi dei rischi o nella identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione. DVR inadeguato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Relatore

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A. nato a M il (Omissis)

avverso la sentenza del 21 marzo 2023 della Corte Appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere Cappello Gabriella;

udito il Procuratore generale, in persona del sostituto Lettieri Nicola, il quale ha concluso per la inammissibilità del ricorso;

uditi, altresì, l’avv. Risimini Giampietro del foro di Bari per le parti civili B.B., C.C., D.D. e E.E., il quale si è associato alle conclusioni del procuratore generale, chiedendo la conferma della sentenza impugnata; nonché l’avv. Pugliese Fabrizio del foro di Bari, per A.A., il quale, esposti i motivi di ricorso, ha insistito per l’accoglimento, chiedendo l’annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.

Fatto

1. La Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Massa, con la quale l’odierno ricorrente A.A. era stato condannato a una pena sospesa per il reato di cui agli artt. 113 e 589, comma 2, cod. pen. perché, nella qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta C.I.S.A.M. Srl, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, aveva omesso di prevedere nel DVR la specifica procedura lavorativa dello smontaggio di carroponti e taglio delle travi, nonché di individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione atte a garantire la sicurezza del lavoro da svolgere, cosicché, nella specie, la vittima, F.F., socio della stessa C.I.S.A.M., ma anche lavoratore dipendente di essa con qualifica di saldatore, mentre era intento nello smontaggio di un carroponte, dopo aver tolto tutti i bulloni all’esterno e all’interno delle travi, restava schiacciato per l’improvviso ribaltamento di una trave, subendo le ferite dalle quali era derivata la morte poco dopo (in Mu., il (Omissis)).

2. Emerge dalle decisioni conformi dei giudici dei due gradi di merito che i fatti per cui è processo sono accaduti presso un capannone industriale ove erano in corso lavorazioni di carpenteria pesante. Il capannone era stato già dismesso e le relative attrezzature vendute all’asta. Il carroponte era stato aggiudicato alla LGM Macchine che aveva dato incarico per lo smontaggio e il sezionamento alla Elettromeccanica Sollevamenti (il cui legale rappresentante, G.G., è stato separatamente giudicato). Quest’ultima, una volta provvedutosi allo smontaggio e al posiziona mento del carroponte a terra su travi e zeppe, aveva subappaltato parte dell’attività alla C.I.S.A.M. del A.A. Il F.F. avrebbe dovuto occuparsi proprio del sezionamento e l’infortunio era accaduto dopo che la vittima aveva estratto i bulloni esterni della trave e si stava occupando di quelli interni, dopo aver assicurato la trave con materiale di risulta che avrebbe dovuto trattenerla, una volta completato lo sbullonamento.

Nella sentenza appellata era già stata superata la tesi difensiva per la quale il F.F. era un lavoratore autonomo o, comunque, un preposto di fatto al cantiere: rilevata la contraddizione logica tra le due prospettazioni, il Tribunale aveva precisato che la qualifica del F.F. era quella di saldatore e che l’imputato era il suo datore di lavoro, a nulla rilevando la partecipazione societaria della vittima, posto che il A.A. era il legale rappresentante della stessa e colui che, per sua stessa ammissione, si occupava della gestione e dell’organizzazione d’impresa.

AI di là dell’aspetto formale, era emerso in ogni caso che il datore di lavoro che ne aveva un preciso obbligo di legge non aveva adottato un DVR adeguato, quello esistente essendo stato redatto dal consulente della difesa senza che risultasse alcun accenno alla lavorazione inerente allo smontaggio del carroponte (lavorazione che era stata poi contemplata nel documento dopo l’infortunio per adeguarsi ai rilievi dell’ente ispettivo), procedura mai svolta dalla C.I.S.A.M. prima di allora.

Peraltro, quel giudice non ha ritenuto neppure definitivamente accertato un rapporto di subappalto tra Elettromeccanica e C.I.S.A.M., rilevando che con certezza era emerso solo che il F.F., dipendente della seconda ditta, si stava occupando dello smontaggio e del sezionamento delle travi, nella specie non venendo in rilievo un’attività di cantiere, la lavorazione non avendo riguardato l’esecuzione di un’opera, bensì l’intervento su uno strumento di sollevamento (il carroponte di cui è detto).

La previsione nel DVR della specifica lavorazione, in uno con le misure di prevenzione e protezione necessarie per uno svolgimento di essa in sicurezza avrebbero certamente scongiurato l’evento, poiché il F.F. era rimasto schiacciato proprio per il ribalta mento della trave durante le operazioni di sezionamento, nello svolgimento di una lavorazione mai eseguita prima da quella ditta. Il A.A., in quanto datore di lavoro, non era esonerato dall’affidamento di un incarico di redigere il DVR a proprio tecnico, avendo consentito lo svolgimento di una lavorazione mai eseguita prima senza assicurarsi che la stessa fosse descritta nel DVR e che in quel documento fossero previste le misure di prevenzione e sicurezza necessarie, trattandosi di adempimenti non meramente burocratici ma effettivi.

La Corte del gravame, dal canto suo, tenuto conto delle doglianze veicolate con l’appello, ha ritenuto intanto infondata la tesi per la quale nessun obbligo di gestione del rischio incombesse al A.A. n.q., quanto alla sicurezza sul luogo di lavoro, non essendo la C.I.S.A.M. proprietaria del capannone: al contrario, era emerso che l’esecuzione della lavorazione era stata appaltata alla Elettromeccanica che, a sua volta, l’aveva subappaltata alla C.I.S.A.M. Inoltre, era provato che il DVR redatto per quest’ultima non contemplava la specifica lavorazione, ma anche la correlazione di tale omissione all’evento, il F.F. avendo erroneamente rimosso prima i bulloni esterni, quindi quelli interni. I giudici dell’appello, inoltre, non hanno condiviso l’assunto per il quale il vero gestore del rischio, nella specie, sarebbe stato lo stesso F.F., siccome socio-titolare e preposto, poiché, in ogni caso, la sua eventuale corresponsabilità non giovava a esonerare il datore di lavoro, amministratore unico della società e destinatario di specifici obblighi di tutela, tra i quali la redazione del DVR e il suo adeguamento in base alla tipologia delle lavorazioni da eseguire. Infine, quanto all’elemento soggettivo, la Corte territoriale ha escluso che l’intimo convincimento dell’imputato circa la bontà del DVR da altri redatto giovasse a esonerarlo dalla responsabilità, atteso che l’addebito mosso consisteva proprio nella mancata valutazione del rischio specifico.

3. La difesa del A.A. ha proposto ricorso, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione quanto alla disciplina applicata e alla individuazione degli obblighi di sicurezza e delle figure tenute alla gestione dei relativi rischi. La difesa ha rilevato che il capannone era di proprietà di terzi e che la ELETTROMECCANICA del G.G. era stata incaricata dello smontaggio, taglio e trasporto del carroponte, avendo poi subappaltato a C.I.S.A.M. di effettuare il taglio. In tal modo si era costituito un vero e proprio cantiere mobile con conseguente applicazione dell’art. 89 D.Lgs. n. 81/2008, rispetto al quale era obbligo della committenza individuare il coordinatore della sicurezza per la fase dell’esecuzione.

Sotto altro profilo, il deducente ha opposto che, in maniera contraddittoria, la Corte d’appello aveva valutato il DVR vigente all’epoca del fatto: infatti, la sua modifica era intervenuta solo al fine di eliminare o ridurre la contravvenzione, opponendosi la preesistente coerenza del documento originario con le prescrizioni normative. Ha, poi, offerto una diversa lettura del documento, inferendone la previsione del rischio specifico.

Infine, con riferimento all’inquadramento lavorativo della vittima, la difesa ne ha sottolineato la qualità di socio paritetico della ditta e la condizione di soggetto altamente formato, nel POS dell’appaltatrice Elettromeccanica egli essendo stato indicato in qualità di capocantiere e, in tale veste, sarebbe spettato proprio al F.F. effettuare tutti i controlli.

Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge, avuto riguardo alla ritenuta cooperazione colposa: il carroponte era di proprietà di terzi, diversi dalla subappaltante, cosicché sul luogo di lavoro si erano trovate ad operare più imprese: contesta l’assunto del primo giudice per il quale, nella specie, non si verserebbe in ipotesi di cantiere mobile, non avendo la Corte del gravame, dal canto suo, preso posizione sul punto, considerato che anche le opere fisse possono essere permanenti o temporanee come il carroponte, ossia un’opera fissa, temporanea, in metallo; sotto altro profilo allega ancora una volta la regolarità ciel DVR sin dall’inizio e la circostanza che la sua successiva modifica era stata disposta per scopi economici (evitare un gravosa sanzione pecuniaria).

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Lignola Ferdinando, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

2. La Corte genovese ha esaminato le doglianze difensive veicolate con l’atto di appello, sostanzialmente riproposte in ricorso, muovendo dalla questione inerente alla posizione di gestore del rischio ricoperta dall’imputato, ricavandola, al di là della natura del contratto sussistente tra la proprietaria del capannone e l’appaltatrice, dalla incontestata circostanza che un dipendente della società dallo stesso amministrata era stato impegnato in una lavorazione inerente al carroponte di cui tratta.

Al di là della circostanza, sulla quale la difesa è tornata anche con il ricorso, se nella specie si fosse trattato di un cantiere mobile o di un intervento avente a oggetto uno strumento lavorativo, la posizione dell’imputato non può risentirne, dal momento che l’eventuale esistenza di altre figure di gestori del rischio infortunistico non esonerano il datore di lavoro dall’obbligo oggetto specifico della contestazione.

Ciò posto, è preliminare all’esame dei motivi inerenti alla posizione dell’imputato, la disamina della questione che riguarda invece la sussistenza stessa del rapporto lavorativo tra la persona offesa e la società della quale il A.A. è responsabile legale. Sul punto, deve rilevarsi che la difesa non ha operato un effettivo confronto con quanto affermato dai giudici territoriali in maniera conforme, quanto all’esistenza di tale rapporto lavorativo. E tale omissione fonda pienamente il giudizio di manifesta infondatezza delle censure, la difesa avendo inteso rassegnare al vaglio di legittimità questioni di puro merito, sulle quali consta un articolato, congruo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo della Corte territoriale. Peraltro, versandosi in ipotesi di giudizio conforme sulla questione specifica, deve pure ribadirsi che è precluso alla difesa riproporre tesi difensive esaminate dai giudici d’appello (sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615), ma anche sollecitare a questa Corte una rivisitazione del giudizio di merito sostenuto da una congrua, logica e non contraddittoria motivazione (tra le altre, sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, Rv. 277218), essendo del tutto estranei al giudizio di legittimità la valutazione e l’apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio, secondo diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati come maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265;482; Sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099).

3. Fatta tale premessa, quanto alla violazione della regola cautelare contestata e alla sua correlazione rispetto al rischio specifico connesso alla lavorazione alla quale era intento il F.F., deve rilevarsi che il ragionamento svolto nella sentenza censurata è del tutto coerente con i principi più volte affermati da questa Corte di legittimità.

È pacifico, intanto, che il datore di lavoro é tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. È altrettanto pacifico che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento (come la difesa ha opposto nel caso all’esame), non lo esonera dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (sez. 4, n. 27295 del 2/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355-01). Ciò vale anche nel caso di nomina di un preposto: la designazione di tale figura al rispetto delle misure di prevenzione non esonera, infatti, il datore di lavoro da responsabilità ove risulti, proprio come nella specie, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito in base alle evidenze, l’inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi (sez. 4, n. 22256 del 3/3/2021, Canzonetti, Rv. 281276-01, in cui, in applicazione del principio” la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale). Infatti, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l’adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell’analisi dei rischi o nell’identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione (Sez. 4, n. 43350 del 5/10/2021, Mara, Rv. 282241-01).

Inoltre, sempre in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, si è già chiarito che il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all’omessa previsione anticipata (sez. 4, n. 4075 del 13/1/2021, Paulicelli, Rv. 280389-01, in cui, in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore a seguito della precipitazione della cabina di un ascensore sulla quale stava lavorando, nonostante tale specifico pericolo di precipitazione non fosse contemplato nel DUVR).

4. Alla luce di tali premesse in diritto, deve quindi ritenersi la manifesta infondatezza dei due motivi, sia in relazione alle censure inerenti alla posizione di garanzia e al rapporto che legava la vittima alla società dell’imputato, che avuto riguardo alla individuazione del luogo di lavoro quale cantiere mobile, essendo indiscusso l’obbligo datoriale di previsione dei rischi nell’apposito documento, a prescindere dalla sussistenza di un rischio interferenziale e dalla necessità conseguente di nominare un coordinatore per la sicurezza, trattandosi di figura concorrente della sicurezza, come tale non in grado di esonerare il datore di lavoro dall’obbligo specificamente contestatogli.

Quanto, poi, alla asserita correttezza del DUVR,  la manifesta incongruenza del ragionamento difensivo secondo il quale il suo adeguamento post infortunio sarebbe dipeso dalla necessità di eliminare o ridurre le conseguenze della contravvenzione, con motivazione del tutto congrua, non contraddittoria e neppure manifestamente illogica i giudici del merito hanno ritenuto che detto documento non prevedesse la specifica lavorazione, conclusione peraltro del tutto coerente con la circostanza che quella era la prima volta che una simile lavorazione veniva eseguita dalla ditta dell’imputato.

5. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000), oltre alla rifusione, in solido con il responsabile civile C.I.S.A.M. Srl, delle spese sostenute dalle parti civili per questo giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

 P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione, in solido con il responsabile civile C.I.S.A.M. Srl, delle spese di giudizio sostenute dalle parti civili B.B., C.C., D.D. e E.E., che liquida in Euro 5.700,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 10 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2024.

Linee guida conservazione delle password

Le password giocano un ruolo determinante nel proteggere la vita delle persone nel mondo digitale. Ed è proprio con l’obiettivo di innalzare il livello di sicurezza, sia dei fornitori di servizi digitali sia degli sviluppatori di software, che nel dicembre 2023 l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) e il Garante per la protezione dei dati personali hanno messo a punto specifiche linee guida in materia di conservazione delle password, fornendo importanti indicazioni sulle misure tecniche da adottare. Linee guida conservazione delle password.

Quali sono i soggetti destinatari del provvedimento del Garante in materia di conservazione delle password?

Il provvedimento del Garante intende fornire indicazioni su modalità e tempi di conservazione delle password, rivolgendosi in primo luogo a tutti i titolari e i responsabili del trattamento che conservano credenziali di autenticazione di utenti dei propri servizi all’interno di sistemi informatici.

Nell’osservanza delle linee guida, titolari e responsabili possono orientare le proprie scelte tecnologiche, oppure progettare e realizzare i propri
sistemi informatici e servizi online, in conformità ai principi di limitazione della conservazione e di integrità e riservatezza, nonché agli obblighi in materia di sicurezza del trattamento (artt. 5, par. 1, lett. e) e f), e 32 del Regolamento (UE) 2016/679).

Allo stesso tempo, il provvedimento invita i produttori di prodotti, servizi e applicazioni a tener conto delle indicazioni fornite dal Garante nelle fasi di progettazione e sviluppo, al fine di consentire a titolari e responsabili del trattamento di utilizzare sistemi e tecnologie che integrino i principî di protezione dei dati.


Linee Guida

Le Linee Guida sono rivolte a tutte le imprese e le amministrazioni che, in qualità di titolari o responsabili del trattamento, conservano sui propri sistemi le password dei propri utenti, le quali si riferiscono a un numero elevato di interessati (es. gestori dell’identità digitale SPID o CieID, gestori PEC, gestori di servizi di posta elettronica, banche, assicurazioni, operatori telefonici, strutture sanitarie, etc.), a soggetti che accedono a banche dati di particolare rilevanza o dimensioni (es. dipendenti di pubbliche amministrazioni), oppure a tipologie di utenti che abitualmente trattano dati sensibili o giudiziari (es. professionisti sanitari, avvocati, magistrati).

Linee guida conservazione delle password Le password giocano un ruolo determinante nel proteggere la vita delle persone nel mondo digitale.
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Ambienti di lavoro sani e sicuri nell’era digitale

Ambienti di lavoro sani e sicuri nell’era digitale, al via la campagna europea 2023-2025. Salute e sicurezza sul lavoro nell’era digitale  2023-2025.

Lavoro su piattaforma digitale

Il lavoro su piattaforma digitale crea nuove opportunità per le imprese e i lavoratori, ad esempio per le persone che potrebbero avere maggiori difficoltà ad accedere al mercato del lavoro tradizionale. In sintesi, esso implica qualsiasi tipo di lavoro fornito su una piattaforma digitale, attraverso di essa o per sua mediazione.

Il modello aziendale della piattaforma più comune è il mercato online per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Spesso riguarda posti di lavoro in occupazioni e settori quali quello dei trasporti (fattorini e tassisti), degli addetti alle pulizie e tuttofare (esposti a prodotti chimici e ad alto rischio di scivolate, inciampi e cadute).

I lavoratori delle piattaforme digitali sono gestiti da algoritmi che incidono sull’assegnazione dei compiti, sulla retribuzione e sulla raccolta di dati dei lavoratori che possono essere utilizzati per aumentare la sorveglianza.

I rischi per i lavoratori delle piattaforme digitali sono aumentati a causa dei rapporti di lavoro atipici con gli operatori delle piattaforme digitali. I lavoratori delle piattaforme digitali hanno inoltre un basso potere contrattuale e un basso controllo sul loro lavoro.

Ciò è ovvio nei settori delle consegne a domicilio e dei trasporti, in cui i lavoratori svolgono il lavoro sul posto, sono meno qualificati e soggetti a un elevato livello di controllo delle piattaforme.

I lavoratori delle piattaforme digitali devono inoltre far fronte all’isolamento, all’intensificazione del lavoro, a orari di lavoro prolungati e al monitoraggio e alla sorveglianza digitali che possono portare a elevati livelli di stress. Tuttavia, la loro posizione professionale limita il loro accesso alla protezione.

Poiché i lavoratori delle piattaforme digitali sono solitamente lavoratori autonomi, sono responsabili della propria SSL. Le piattaforme non sono obbligate ad adottare misure per aumentare la protezione dei loro lavoratori.

Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha consentito nuove modalità di lavoro, fornite tramite o su piattaforme online. Rider, autisti, infermieri e grafici sono alcuni esempi di persone impegnate nel lavoro su piattaforma.

Se da un lato può rappresentare una fonte di reddito aggiuntiva o alternativa e un’opportunità per entrare nel mercato del lavoro per alcuni gruppi di lavoratori, dall’altro il lavoro su piattaforma digitale è legato a rischi e problematiche per la salute e sicurezza sul lavoro (SSL) che possono essere complessi da prevenire e gestire. Per affrontare questa sfida, i responsabili delle politiche, le piattaforme, i sindacati e i lavoratori devono unirsi per introdurre iniziative in materia di SSL e migliorare quelle esistenti.

Ambienti di lavoro sani e sicuri nell’era digitale, al via la campagna europea 2023-2025. Salute e sicurezza sul lavoro nell'era digitale.
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