ORGANI DI CONTROLLO


ORGANI DI CONTROLLO

RICHIESTE E SANZIONI ORGANI DI CONTROLLO

LEGGE 626

SU RICHIESTA DELLE ASL DI ZONA LE AZIENDE DOVRANNO PRESENTARE LA SEGUENTE DOCUMENTAZIONE

Definizioni. – Il D.L.vo 26 maggio 1997 n. 155 è stato emanato in attuazione delle direttive CEE nn. 93/43 e 96/3 concernenti l`igiene dei prodotti alimentari.

Ai sensi dell`art. 2 del decreto si intende per “igiene dei prodotti alimentari” l`insieme delle misure necessarie per garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari.

Le norme previste da questo decreto si applicano quindi in tutte le fasi di produzione, preparazione, trasformazione e distribuzione delle sostanze alimentari successive alla cosiddetta “produzione primaria delle sostanze alimentari”, vale a dire alla raccolta, alla macellazione ed alla mungitura, che sono disciplinate nei loro aspetti giuridici da altre normative.

I soggetti obbligati ad adempiere agli obblighi previsti dal decreto sono le “industrie alimentari”.

La definizione di “industrie alimentari” è estremamente ampia.

La lettera b) del primo comma dell`art. 2 del D.L.vo 155/97 definisce “industrie alimentari”: “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari”.

Appare evidente, quindi, l`ampiezza della definizione, tale da ricomprendere qualunque struttura ove le sostanze alimentari vengono trattate.

2. Obblighi. – All`art. 3 del D.L.vo 155/97 si individuano gli obblighi che ricadono sui soggetti responsabili delle industrie alimentari. Tali obblighi sono:

1) l`individuazione nell`ambito della propria attività di ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti mediante l`individuazione, l`applicazione, il mantenimento e l`aggiornamento di adeguate procedure di sicurezza, avvalendosi del cosiddetto “sistema HACCP” (Hazard Analysis and Critical Control Points) (art. 3 comma 2).

Il sistema HACCP prevede alcuni principi di base individuati sempre nell`art. 3.

Essi sono:

a) analisi dei potenziali rischi per gli alimenti;

b) individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per gli alimenti;

c) decisioni da adottare riguardo ai punti critici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla sicurezza dei prodotti;

d) individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici;

e) riesame periodico, ed in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d`attività, dell`analisi dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza”.

2) Tenere a disposizione delle autorità competenti tutte le informazioni concernenti la natura, la frequenza ed i risultati relativi alla procedura HACCP sopra descritta (art. 3 comma 3).

3) Nel caso in cui, attraverso la procedura di autocontrollo, si ravvisino dei prodotti che possono presentare un rischio per la salute pubblica, informare l`autorità sanitaria ed attivarsi per il ritiro dal commercio dei prodotti sospetti (art. 3 comma 4).

Tali prodotti ritirati verranno poi messi a disposizione dell`autorità sanitaria, che provvederà alla loro conservazione o distruzione, a seconda dei casi.

4) Attenersi alle disposizioni igieniche previste dagli allegati al decreto, fatte salve quelle più dettagliate o rigorose attualmente vigenti (art. 3 comma 5).

L`art. 4 del D.L.vo 155/97 prevede la possibilità di elaborare manuali di corretta prassi igienica ai fini di individuare per ogni categoria di operatori le norme ed i sistemi HACCP più opportuni.

All`uopo tali manuali potranno essere elaborati o dalle associazioni di categoria o in collaborazione con il Ministero della sanità, tenendo conto anche delle norme europee EN 29000 oppure ISO 9000.

Il sistema di autocontrollo, tuttavia, non esclude a priori la possibilità che le autorità di vigilanza effettuino a loro volta dei controlli ufficiali sui prodotti alimentari.

Il controllo, che si effettua ai sensi del D.L.vo 3 marzo 1993 n. 123, ai sensi dell`art. 5 del D.L.vo 155/97 deve riguardare non soltanto i prodotti, ma anche la verifica dell`attuazione e dell`efficacia dei piani HACCP predisposti dall`industria alimentare oggetto di controllo.

3. Sanzioni. – L`art. 8 del D.L.vo 155/97 prevede le sanzioni per chi non ottempera alle norme del decreto medesimo.

Le sanzioni previste dal decreto sono amministrative e penali.

Più precisamente, il responsabile dell`industria alimentare è punito con:

“a) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire dodici milioni per l`inosservanza dell`obbligo di cui all`art. 3, comma 3;

b) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire diciotto milioni per la mancata o non corretta attuazione del sistema di autocontrollo di cui all`articolo 3, comma 3, o per l`inosservanza delle disposizioni di cui all`articolo 3, comma 5;

c) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire sessanta milioni per la violazione degli obblighi di ritiro dal commercio previsti dall`art. 3, comma 4″.

Le sanzioni amministrative, ai sensi del comma 2 dell`art. 8, sono applicate soltanto qualora il responsabile dell`industria alimentare non provveda ad eliminare le irregolarità del sistema HACCP entro un congruo termine prefissato dall`autorità di vigilanza.

Risulta quindi evidente come il legislatore abbia voluto prevedere un meccanismo di collaborazione fra l`industria alimentare e le autorità di vigilanza, stabilendo l`applicazione delle sanzioni soltanto nel caso in cui il responsabile dell`industria alimentare non tenga un comportamento adeguato al fine di garantire la salubrità e l`igiene dei prodotti alimentari.

In altri termini, la sanzione amministrativa non sarà applicata immediatamente al riscontro di ogni mancanza, ma occorrerà che la mancanza non venga eliminata secondo le prescrizioni ed i termini stabiliti dall`autorità sanitaria.

Ovviamente, le sanzioni amministrative sono applicate salvo che il fatto non costituisca reato, giacché in base al principio di specialità dell`ordinamento giuridico, se la violazione delle norme di autocontrollo costituisce di per sè stessa un`ipotesi di reato (es., commercio di sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica, art. 444 c.p.), il responsabile dell`industria alimentare verrà perseguito per tale reato e non per la violazione delle norme relative all`autocontrollo.

L`art. 8 comma 3 del D.L.vo 155/97 stabilisce invece la sanzione penale dell`arresto fino ad un anno e dell`ammenda da lire 600.000 a lire 60.000.000 qualora non vengano ottemperate le prescrizioni dell`autorità di vigilanza, ovvero non venga ottemperato l`obbligo di ritiro dal commercio previsto dall`art. 3 comma 4 del decreto medesimo qualora da tale violazione possa derivare pericolo per la salubrità e la sicurezza dei prodotti alimentari.

La sanzione penale prevista per il mancato adempimento dell`obbligo di cui all`art. 3 comma 4 è la vera novità di questo decreto.

L`obbligo, infatti, assomiglia molto ad un`autodenuncia.

Secondo questo decreto, il responsabile dell`industria alimentare che constati che i prodotti possono presentare un rischio immediato per la salute pubblica, deve ritirarli dal commercio, informandone l`autorità competente.

Ciò causerà due ordini di problemi: in primo luogo l`autorità informata di questo fatto si troverà in una situazione di profondo dilemma sul comportamento da tenere.

Da un lato, infatti, dovrà collaborare con l`industria alimentare al fine di evitare la distribuzione al consumo del prodotto alimentare ritenuto pericoloso, ma dall`altro, in virtù dell`obbligo che riguarda tutti gli uffici pubblici ed in mancanza di indicazioni contrarie previste dal D.L.vo 155/97, sarà tenuta ad informare dell`irregolarità la procura della Repubblica competente per territorio.

Ciò potrebbe comportare l`iscrizione di un procedimento penale a carico del responsabile dell`industria alimentare.

Si pensi, per esempio, ad un prodotto alimentare contaminato da viti cadute dalle macchine nelle confezioni dei biscotti: la messa in commercio di questi prodotti costituisce di per sè stessa il reato di cui all`art. 5 lett. d) della legge 30 aprile 1962 n. 283 od il più grave reato di cui all`art. 444 c.p.

A questo punto quale industriale, avuta conoscenza di un prodotto alimentare pericoloso, di fronte alla possibilità di essere denunciato per un reato, comunicherà tale notizia alla pubblica autorità?

Ecco quindi perché, sotto questo punto di vista, sarebbero opportune norme integrative che specificassero con chiarezza il comportamento della pubblica autorità in questi casi.

Il secondo ordine di problemi riguarda l`estensione di questo obbligo di ritiro, giacché non viene specificato fino a che punto il responsabile dell`industria alimentare debba operare attivamente per il ritiro dei prodotti irregolari.

È sufficiente che blocchi le future consegne dei prodotti tralasciando i prodotti già consegnati? Si deve attivare presso il grossista dei suoi prodotti, ritirando la merce dai depositi, o deve verificare in quali catene di negozi o supermercati i suoi prodotti sono in vendita e quindi provvedere a ritirarli?

In ultima analisi, deve pubblicare avvisi sui giornali così come si fa per i prodotti elettrici difettosi per informare il consumatore?

Tutte queste situazioni sono tralasciate dal D.L.vo 155/97, sicché sarà l`esperienza ad individuare i confini e le caratteristiche dell`obbligo di ritiro; certo è che, in relazione alla complessità della distribuzione dei prodotti alimentari, la possibilità di violare l`obbligo del ritiro ed essere quindi puniti con l`arresto fino ad un anno, rimane elevata.

4. Commenti. – L`oggetto di questa seconda parte riguarda un primo commento a questa nuova legge, con riferimento soprattutto alle questioni della responsabilità penale degli operatori del settore alimentare a seguito dell`entrata in vigore del D.L.vo 26 maggio 1997 n. 155.

Occorre infatti rilevare che la maggior parte dei reati alimentari prevede anche l`ipotesi colposa della condotta delittuosa; così i reati previsti espressamente dal codice penale (commercio di sostanze alimentari nocive, adulterate o contraffatte) accanto all`ipotesi dolosa, cioè di chi volontariamente pone in commercio prodotti pericolosi per la salute pubblica, prevedono anche l`ipotesi colposa di chi, pur non volendo porre in commercio sostanze pericolose, commette tale reato per colpa.

A ciò si aggiunge il fatto che, oltre ai delitti previsti dal codice penale, le fattispecie di reato in materia alimentare più comuni sono le contravvenzioni, ed in particolare quelle di cui all`art. 5 della legge 30 aprile 1962 n. 283.

Le contravvenzioni sono reati in cui l`elemento soggettivo prescinde dall`accertamento del dolo o della colpa. Possono cioè essere commessi indifferentemente volendo l`evento oppure anche in questo caso per semplice colpa.

Tralasciando l`aspetto doloso delle vicende occupiamoci invece di quelle che vengono realizzate colposamente.

Si pensi alle sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione previste dall`art. 5 lett. b) o alla vendita di sostanze alimentari alterate od invase da parassiti prevista dalla lett. d) del medesimo articolo.

Ora, la nozione di colpa è data dall`art. 43 del codice penale che definisce il reato colposo “quando l`evento, che è il risultato dell`azione, non è voluto dall`agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza od imperizia o per l`inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.

Si pensi, ad esempio, alla vendita di sostanze alimentari alterate: io conservo negligentemente un formaggio a temperatura ambiente, mentre lo stesso andava conservato a +4° C in frigorifero e, trascorso un certo periodo di tempo, il formaggio si altera.

È evidente che io non volevo l`alterazione del formaggio, ma questa si è verificata per una mia negligenza.

In dottrina si distingue fra la colpa c.d. “generica” – che è data dalla violazione di regole di diligenza, prudenza e perizia – e la colpa c.d. “specifica”, vale a dire l`inosservanza di specifiche leggi, regolamenti, ordini e discipline.

La dottrina si è sempre preoccupata di precisare i contorni della diligenza, della prudenza e della perizia.

Si sostiene in dottrina che le regole di diligenza che vigono nei vari contesti sociali sono la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo.

In altre parole, la prevedibilità e l`evitabilità dell`evento costituiscono i criteri di individuazione delle misure precauzionali da adottare nelle diverse situazioni concrete (ad es. moderare la velocità degli autoveicoli in caso di fondo stradale ghiacciato).

Il problema è, ovviamente, quello di verificare quale sia la misura di questo “dovere” di diligenza, giacché per poter stabilire un criterio oggettivo di prevedibilità occorre individuare con precisione quali siano le caratteristiche che rendono un determinato evento prevedibile.

La misura di questa prevedibilità è data dal parametro oggettivo dell`homo eiusdem professionis et condicionis, cioè la misura della diligenza, della perizia e della prudenza sarà valutata in base a quella del modello di agente che svolge la medesima professione.

Tutta questa premessa serve per inquadrare il problema della prevenzione ed evitabilità dell`evento nell`ambito dei reati alimentari.

Qui il problema è complesso perché è difficile individuare uno standard di diligenza da prendere a modello nel trattamento delle sostanze alimentari.

Si pensi, per fare un esempio, ad un formaggio in cui è stata rinvenuta listeria.

Vi sono certamente delle regole di esperienza nell`ambito dei caseifici (pulizia degli ambienti, sterilizzazione degli strumenti di lavoro, ecc.) che aiutano ad individuare la diligenza nell`adempimento della professione, ma non esiste una figura di casaro perfetto, paradigma di tutte le situazioni, su cui verificare in concreto se la manipolazione del formaggio sia stata diligente o meno.

Un altro problema è quello di individuare il soggetto responsabile dell`irregolarità e sotto questo profilo, per tornare all`esempio del formaggio, gli organi di vigilanza devono con difficoltà verificare se l`irregolarità era dovuta ad un fatto del produttore o del distributore o addirittura del trasportatore.

Tutto ciò pone dei problemi notevoli in ordine alla verifica della diligenza di tutti coloro che erano intervenuti nella filiera della preparazione, con il conseguente problema di attribuire la colpa dell`irregolarità ad un soggetto piuttosto che ad un altro.

L`importanza del D.L.vo 155/97 e dell`autocontrollo di cui all`art. 3 appare a questo punto evidente.

Attraverso l`autocertificazione, la valutazione dei rischi ed il controllo (HACCP) di ciascun responsabile dell`industria alimentare nella accezione estensiva di cui all`art. 1 gli organi di vigilanza avranno modo di verificare la diligenza di ciascun operatore, valutando l`efficacia o meno dei loro piani HACCP.

Non solo, ma il fatto che il D.L.vo 155/97 preveda espressamente l`elaborazione di manuali di corretta prassi igienica nelle varie fasi e nei vari settori contribuisce ad individuare uno standard obbligatorio per ciascuna professione e per ciascun operatore al quale attenersi, cosa che comporta l`individuazione di un modello di riferimento per giudicare la prevedibilità e l`evitabilità della condotta colposa.

Gli organi di vigilanza saranno quindi agevolati nei loro compiti di individuazione dei responsabili per i reati e, d`altro canto, anche gli operatori seri saranno agevolati, in quanto attraverso l`elaborazione dei piani HACCP saranno in grado di dimostrare la loro diligenza in modo più evidente rispetto al passato, facendo emergere più facilmente eventuali responsabilità altrui.

Così, tornando all`esempio del formaggio, se il produttore dimostrerà di aver adottato un efficace piano HACCP e così il trasportatore, mentre il rivenditore avrà un piano HACCP carante il sospetto della responsabilità graverà su quest`ultimo soggetto, presunzione che andrà poi accertata in concreto, con analisi del prodotto, tamponi delle attrezzature, ecc.

Sarà sufficiente rispettare questo modello di diligenza per evitare di subire sanzioni penali?

In altre parole, l`industriale che realizza un piano HACCP perfetto, esegue un controllo scrupoloso, si adegua ai manuali di sicurezza igienica, sarà per questo diligente?

Temo di dover rispondere, in base all`esperienza del passato, in maniera negativa: il rischio zero non esiste.

Per quanto possa essere efficace l`autocontrollo non si potrà mai avere la certezza al 100% di non porre in commercio prodotti alimentari irregolari.

Si tratta di capire se questo rispetto delle norme sia sufficiente ad evitare la responsabilità per il caso fortuito, e tale circostanza non potrà che essere verificata nella prassi giurisprudenziale.

Oltre a ciò, molto spesso si potranno verificare situazioni di piani HACCP solo sulla carta.

I piccoli imprenditori, infatti, non hanno le capacità e le possibilità economiche per effettuare un serio autocontrollo.

Un piccolo caseificio, che magari fattura qualche centinaio di milioni l`anno, può permettersi di spendere decine di milioni per le periodiche analisi di laboratorio dei propri prodotti?

È evidente che la risposta sarà negativa, e la giurisprudenza si dovrà occupare di casi nei quali l`HACCP, presente sulla carta, non è mai stato messo in opera.

I giudici, quindi, si occuperanno spesso di questi casi e si correrà il rischio di “svuotare” il significato del sistema HACCP non considerandolo di per sè stesso una circostanza utile all`esonero o alla limitazione della responsabilità penale dei titolari dell`industria alimentare.

L`individuazione delle responsabilità è un altro aspetto importante: chi è il soggetto cui concretamente si applicheranno le sanzioni? Ai sensi dell`art. 2 per responsabile si intende il titolare dell`industria alimentare od il responsabile specificamente delegato.

Il problema sarà quindi la delega.

Il delegato dovrà avere non soltanto la responsabilità, ma anche i poteri necessari per attuare il sistema HACCP.

Il titolare sarà liberato dalle responsabilità solo in quanto abbia dato potere al delegato di attuare sistemi di autocontrollo, dandogli un budget di spesa, dandogli la responsabilità di sospendere la produzione nel caso di evidenti rischi per la salute pubblica, dandogli la possibilità di avvalersi di consulenti esterni all`azienda, ecc.

Ma potrebbe essere considerato responsabile qualora invece non abbia fornito il delegato di tutti i poteri necessari cosicché il delegato non abbia concretamente la possibilità di attuare efficacemente il sistema HACCP.

Ciò comporterà da un lato l`evidente maggiore responsabilizzazione dei singoli addetti ma dall`altro, nel caso di insufficiente delega, comporterà il coinvolgimento dei vertici aziendali nelle problematiche produttive, cosa che in passato era meno evidente, mancando l`obbligo di predisporre idonei sistemi di autocontrollo.

F.A.Q.

Come si elegge il RLS?Nella aziende, o unità produttive, che occupano sino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza pu' essere individuato per pi' aziende nell'ambito territoriale ovvero del comparto produttivo. Esso pu' essere designato o eletto dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali, cos' come definite dalla contrattazione collettiva di riferimento. Anche l'accordo con la Confindustria ricalca pi' o meno il testo legislativo, salvo un'ulteriore suddivisione per le aziende da 201 a 300 dipendenti, per le quali sono previste 3 anzich' due RLS, di cui due tra i componenti RSU (vanno anche questi sempre ratificati dai lavoratori) e uno eletto dai lavoratori. Chi provvede alla formazione del RLS? Il corso di formazione di 32 ore per il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a completo carico del datore di lavoro, e deve avvenire nel normale orario di lavoro, senza che il RLS debba chiedere permessi di alcun genere. Quali responsabilità ha il RSPP? La persona che deve ancora essere nominata RSPP presso l'azienda presso cui lavora, una volta ottenuto l'incarico, deve effettuare ai sensi del D.Lgs.195/03 un corso di formazione presso gli Enti titolati ad organizzarlo, con rilascio di attestazione. La figura del RSPP penalmente irresponsabile, come lo la figura del RLS; ovvero la sua responsabilità uguale a quella degli altri lavoratori come da art.5 del D.Lgs.626/94. Quali sono i limiti nell'attività del Medico Competente? Il medico competente designato dal datore di lavoro, incontra sempre nell'espletamento della propria attività un limite ben preciso, costituito dal divieto di effettuare tutti quegli accertamenti che possano risultare lesivi della dignità dei lavoratore o pregiudizievoli dei suoi diritti, e come tali rientranti nel divieto di cui all'art. 5 della Legge 300/70 Lo Statuto dei Lavoratori'; restano invece escluse da tale divieto, in quanto dirette alla tutela primaria della salute dei lavoratore, le seguenti ipotesi:gli accertamenti strettamente finalizzati ad interventi di pronto soccorso, in ottemperanza dell'art. 2087 codice civile;gli accertamenti di idoneità e le visite periodiche previste dalle leggi speciali che impongono al datore di lavoro il dovere di sorveglianza sanitaria per determinate categorie di lavoratori esposti a rischi specifici (D.P.R. n. 303,96; D.Lgs. n. 277191; D.Lgs. n. 626194), nonch' le visite richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali. Trattandosi di norme che fanno eccezione a regole di natura generale, sembra da escludersi ogni possibilità di applicazione analogica; tuttavia ulteriori ipotesi sono previste dalla contrattazione collettiva, in presenza del consenso prestato dal lavoratore Chi detto di preciso “videoterminalista”, chi ha diritto ad effettuare la pausa di 15 minuti? Un videoterminalista chiunque utilizzi un monitor collegato ad un computer, ad una tastiera, ad un mouse, per fini lavorativi, artistici, ludici. Dal punto di vista della normativa di salute e sicurezza sul lavoro invece definito “lavoratore addetto all'uso di attrezzature munite di videoterminali ” il lavoratore che utilizza detta attrezzatura, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni. Alle interruzioni, di 15 minuti ogni 120 minuti di lavoro al videoterminale (ma ci possono essere contratti che prevedono tempi pi' favorevoli al lavoratore…), ha diritto ciascun lavoratore che svolga la sua attività per almeno 4 ore consecutive.In effetti la frase che fa riferimento alle 20 ore settimanali serve per definire esattamente il cosiddetto “lavoratore esposto (al rischio videoterminale)”, al fine di mettere in atto per lui l'obbligo della sorveglianza sanitaria, cio' l'effettuazione di visite mediche periodiche da parte del medico competente. Quali sono le temperature ed umidità ambientali che consentono di lavorare in condizioni ideali o quasi? Dal punto di vista normativo, il riferimento l'articolo 11 del D.P.R. 19 marzo 1956 n.303, comma 1, 2 e 5, come modificato dall'art.33 comma 7 del D.Lgs. 626/94: Articolo 11 Temperatura dei locali. 1.La temperatura dei locali di lavoro deve essere adeguata all'organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori . 2.Nel giudizio sulla temperatura adeguata per i lavoratori si deve tener conto della influenza che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità e il movimento dell'aria concomitanti. 5.Quando non conveniente modificare la temperatura di tutto l'ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione. Come vede la norma sembra voler tenere in maggior conto dei parametri di benessere termico piuttosto che considerare semplicemente le misure della temperatura, dell'umidità relativa e della ventilazione.Tanto vero che, per effettuare la valutazione degli ambienti di lavoro dal punto di vista microclimatico, vengono usati come riferimento gli indici di confort termico determinati nel 1985 dal danese Fanger. Questi indici tengono conto delle variabili microclimatiche (temperatura, ventilazione e umidità relativa), ma anche di quelle variabili che sono legate al soggetto, come il tipo di attività fisica e l'abbigliamento. Posso comunque indicarle qual il range di accettabilità dei parametri microclimatici: Temperatura tra i 18' e i 21' Centigradi Umidità Relativa tra il 40% e il 75% Ventilazione tra 0,01 e 0,3 metri al secondo Sempre a proposito della temperatura, chiaro che ci sono luoghi (a causa delle strutture murarie, dell'esposizione, della indispensabile presenza di aperture sull'esterno, del tipo di attività che vi si svolge, ecc.) dove molto difficile, soprattutto in inverno, mantenere una temperatura accettabile. In tal caso si ricorda il dovere di ricorrere a misure tecniche localizzate o a mezzi personali di protezione (nel senso che anche una giacca imbottita un Dispositivo di Protezione Individuale). E' chiaro che poi, nella necessità di istallare un impianto di condizionamento, ci sono altri numeri ai quali fare riferimento, magari ricavati da una centralina microclimatica che misuri sul vostro luogo di lavoro dei valori importanti come la temperatura, la velocità dell'aria, l'umidità relativa. Si potrebbero poi prendere a riferimento altri numeri, per esempio quelli delle Linee Guida ISPESL per applicazione agli uffici (1995): per quanto riguarda gli impianti di condizionamento in luoghi di lavoro dove venga svolto lavoro d'ufficio sono i seguenti: Condizionamento: preferibilmente a totale ricambio d'aria o con massimo riciclo del 30%. Temperatura: 20-23'C in inverno, 23-26'C in estate. Ventilazione: 0.1-0.2 metri al secondo, con portata di almeno 20 metri cubi orari per persona. Umidità Relativa: 40-50%. In caso di inottemperanza degli obblighi di legge rivenienti dall' art. 4 l.626/94 da parte del datore di lavoro, qual l'iter da seguire per la denuncia; qual l'ufficio preposto cui rivolgersi per accertare la violazione?Il servizio di prevenzione della ASL territorialmente competente l'organo di vigilanza cui ci si pu' rivolgere denunciando le inadempienze del datore di lavoro. Vorrei sapere quali responsabilità si assumono accettando l'incarico di addetto alla sicurezza prevenzone incendi. Mi chiedo inoltre se sia possibile dimettersi da tale incarico e con quali motivi? La risposta va cercata non solo alla luce del Dlgs. 626/94 ma anche del disposto dal DM 10.3.98 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro”. Sull'onere delle responsabilità in carico all'addetto alla gestione delle emergenze e non esplicitamente richiamate dal Dlgs. 626/94 pu' sostenersi che queste rientrino, fermo restando la completa attuazione degli specifici obblighi in capo al datore di lavoro, tra quelle dei lavoratori. Pertanto il lavoratore, e quindi l'addetto alla gestione delle emergenze, ha il dovere di contribuire insieme al datore di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti all'adempimento di tutti gli obblighi necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Tra questi obblighi, peraltro sanzionati dall'art. 93 troviamo sia quelli previsti dall'art. 5.2 ed in particolare il comma d, che quelli del l'art. 12 comma 3: art. 5.2.d : segnalano immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dispositivi di cui alle lettere b) e c), nonch' le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre tali deficienze o pericoli, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; art. 12 comma 3: I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni ovvero dei rischi specifici dell'azienda ovvero dell'unità produttiva. Dalla lettura del DM 10.3.98, appaiono altri doveri riconducibili agli addetti alla gestione delle emergenze riportati nell'allegato VIII punto 2: Il piano di emergenza deve essere basato su chiare istruzioni scritte e deve includere: a) i doveri del personale di servizio incaricato di svolgere specifiche mansioni con riferimento alla sicurezza antincendio, quali per esempio: telefonisti, custodi, capi reparto, addetti alla manutenzione, personale di sorveglianza; b) i doveri del personale cui sono affidate particolari responsabilità in caso di incendio; appare evidente che questi doveri corrispondono a responsabilità a condizione che il datore di lavoro abbia erogato una idonea formazione, garantito i necessari DPI, effettuato le esercitazioni previste con il coinvolgimento degli addetti, predisposto all'interno del piano di emergenza procedure comportamentali ed operative congrue con le ipotesi di rischio presenti nel sito aziendale. Non va peraltro dimenticato che anche per l'addetto alle emergenze, che comunque resta un lavoratore, vige l'art. 14.1 del dlgs 626/94 ovvero il diritto dei lavoratori ad allontanarsi in caso pericolo grave ed immediato. Rispetto all'obbligo della segnalazione di eventuali carenze ed al mancato adeguamento da parte del datore di lavoro si puo fare riferimento al citato art. 5.2.d che prevede la possibilità (dovere?) di informare del fatto il R.L.S. e non esclude la possibilità di interessare direttamente gli organi di vilanza competenti, anche se, suggerirei, solo in ultima analisi e successivamente all'attivazione degli organismi sindacali. In merito all'ipotesi di presentare dimissioni dall'incarico ritengo possibile la presentazione dell'istanza al datore di lavoro fermo restando l'obbligo del lavoratore designato a ricoprire il ruolo salvo giustificati motivi. In ordine ai giustificati motivi credo possano essere richiamate solo particolari e certificate condizioni di salute ovvero precedenti esperienze che possono aver provocato condizioni di stress post-trauma. La scelta dei DPI viene fatta da RSPP previa consultazione con RLS? Come ben dice il Decreto Legislativo 626/94 all'art.43 comma 3: “il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i dispositivi di protezione individuale (DPI) conformi ai requisiti previsti dall'art.42 e dal decreto di cui all'art.45, comma 2″. “Fornisce” significa che sceglie, acquista, d' al lavoratore un dispositivo che gli consenta di lavorare eliminando o riducendo al minimo il rischio di infortunio o di malattia professionale. E' un suo obbligo e pertanto deve essere lui ad effettuare l'acquisto, non potendo assolutamente chiedere al lavoratore alcun tipo di sostegno economico, nemmeno in cambio di una maggiore attenzione nella scelta e nella fornitura. Mi spiego: non pu' stabilire uno standard di qualità e quindi di costo, oltre il quale deve intervenire il lavoratore, se questàultimo vuole un prodotto adeguato alla sua persona, perch' l'art. 42 comma 2 lettera c) afferma che i DPI forniti al lavoratore devono “tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore“. Pertanto il datore di lavoro obbligato a fornire al lavoratore dei DPI che lo proteggano da infortuni o malattie professionali, senza creare al lavoratore un problema di salute dovuto ad una scelta errata o alla fornitura di prodotti inadeguati alle esigenze ergonomiche (la misura precisa delle scarpe, per es.) o di salute (la necessità di un plantare, per es.) del lavoratore. La mancata fornitura al lavoratore di DPI confermi a questi, come ad altri requisiti specificati dall'art.42 pu' comportare, per il datore di lavoro e il dirigente (dello stabilimento, del reparto, ecc.), una ammenda da 1.500 a 4.000 euro o l'arresto da 3 a 6 mesi. Detto questo, per rispondere pienamente alla sua domanda, va detto che la scelta dei D.P.I. un compito del Datore di Lavoro, come pu' ricavare dall'art. 43 del D.Lgs. 626/94; una scelta da lui effettuata tenendo conto dei requisiti richiesti dall'art. 42. Infine, come si evince dall'art. 11 del D.Lgs. 626/94 – Riunione periodica di prevenzione e protezione – il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (R.L.S.) partecipa alla riunione nella quale, oltre al Documento di Valutazione dei Rischi, il Datore di Lavoro sottopone all'esame dei partecipanti “l'idoneità dei mezzi di protezione individuale“. E' in questa occasione che il RLS pu' e deve esercitare le sue attribuzioni, tra le quali (art.19 comma 1 lettera h): “promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori“. Questo il momento in cui il RLS pu' dire la sua sui D.P.I. Vorrei sapere se esistono e quali sono i requisiti per guidare i carrelli elevatori o muletti (patentino) I carrelli elevatori a forche, comunemente denominati muletti', devono essere utilizzati solo da personale che ha ricevuto un'adeguata formazione (a seguito di tale formazione possibile ottenere il permesso di guida, che qualifica il lavoratore e lo segue da una azienda all'altra). In particolare (art. 38 del D.Lgs. 626/94) il datore di lavoro deve assicurarsi che: i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro ricevano una formazione adeguata sull'uso delle attrezzature di lavoro. Si tratta di un obbligo sanzionato per Datori di lavoro e Dirigenti con arresto da tre a sei mesi o ammenda da 3 a 8 milioni di lire. Il lavoratore deve invece sapere che deve usare l'attrezzatura di lavoro solo conformemente a quanto insegnatogli, deve indossare indumenti adeguati, che non possano costituire pericolo, deve indossare i D.P.I. prescritti (scarpe antinfortunio, per es.), non deve assolutamente rimuovere o modificare i dispositivi di sicurezza o di segnalazione. Per sua informazione le trascrivo alcune indicazioni comportamentali del cartellista per la protezione dagli infortuni sul lavoro: Inizio lavoro: controllare pneumatici, freno, freno a mano, comandi, avvisatore acustico e luci. Fine lavoro: parcheggiare nel luogo assegnato, appoggiare le forcole sul pavimento, azionare il freno a mano, spegnere il motore e togliere le chiave. Durante la circolazione: tenere una velocità adeguata al percorso, al carico, alle condizioni della pavimentazione, all'andatura in retromarcia. Non alzare o abbassare il carico durante il trasporto, non sporgere parti del corpo fuori dalla sagoma del carrello, utilizzare il segnalatore acustico l' dove la visibilità ridotta, presso posti di lavoro, attraversando portoni. Non frenare bruscamente. Se il mezzo non abilitato, non trasportare altri in cabina n' sollevarli sulle forcole. Queste sono le principali indicazioni per la guida, poi ci sono indicazioni importanti che riguardano come vanno immagazzinati i materiali, casse o pallets che siano. E' sempre obbligatorio in azienda il medico competente? Il datore di lavoro deve nominare il medico competente qualora sia prevista dalla normativa la “sorveglianza sanitaria”. L'art. 16 del D.Lgs.626/94 recita: 1. La sorveglianza sanitaria effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente. 2. La sorveglianza di cui al comma 1 effettuata dal medico competente''.. Quindi, in base all'articolo sopra riportato, la sorveglianza sanitaria deve essere effettuata nei casi previsti dalla legge. Oltre alle leggi speciali sulle radiazioni ionizzanti e il D.Lgs.277/91 sull'esposizione a piombo, amianto e rumore, valgono gli articoli 33,34 e 35 del D.P.R. 303/56 e la tabella delle lavorazioni per le quali vige l'obbligo delle visite mediche preventive e periodiche. Inoltre il D.P.R. 336/94 contiene il Regolamento recante le nuove tabelle delle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura. Il D.Lgs.626/94 inserisce nell'obbligo della sorveglianza sanitaria altre attività lavorative che comportano la sorveglianza sanitaria: La movimentazione manuale dei carichi L'attività di utilizzo dei videoterminali L'esposizione ad agenti cancerogeni L'esposizione ad agenti biologici. Vede bene che la presenza del medico competente in azienda data da norme precise e, naturalmente, dai risultati della valutazione dei rischi.
Il documento riguarda i parapetti provvisori, le reti di protezione e i sistemi combinati, e ha lo scopo di fornire una metodologia per la valutazione del rischio di caduta dall'alto e/o di urto contro il sistema di protezione dei bordi, nel corso di lavo

Chi deve redigere il POS e chi no

Il D.Lgs. 494/96 [art. 9 comma 1 lett. c)bis] e il D.P.R. 222/03 (art. 6) prevedono l’obbligo di redazione del Piano Operativo di Sicurezza (POS) per “ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici”. L'obbligo di redazione del POS ricorre esclusivamente per le imprese che eseguono i lavori elencati nell’Allegato 1 al D. Lgs. 494/96, dove non rientrano le forniture a piè d’opera di attrezzature e/o materiali. Quindi le aziende fornitrici di materiali/attrezzature nei cantieri edili o di ingegneria civile, che non svolgono una partecipazione diretta all'esecuzione dei lavori, non devono elaborare il POS e dovranno rispettarne le disposizioni (cooperazione, coordinamento, scambio di informazioni). Le imprese esecutrici, destinatarie delle forniture, da parte loro, sono tenute a fornire alle aziende fornitrici tutte le informazioni utili ad attuare le opportune misure di sicurezza, rendendo disponibili anche i piani di sicurezza del cantiere (POS, PSC o PSS, quando previsti).

Rapporto di sicurezza


Rapporto di sicurezza per i nuovi stabilimenti e per le modifiche con aggravio del livello di rischio

Lettera circolare 6 maggio 2007, Prot.n. DCPST/A4/RS/1700

Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile – Direzione centrale per la prevezione e la sicurezza tecnica – Area rischi industriali ha emanato il 6 maggio una Lettera circolare con l'intento di porre l'attenzione su alcuni aspetti rilevanti per l'attività che i Comitati Tecnici Regionali sono chiamati a svolgere nel corso dei procedimenti di valutazione dei rapporti di sicurezza relativi a nuovi stabilimenti ed a modifiche comportanti aggravio del preesistente livello di rischio ai sensi dell'art.21, comma 3, del D.Lgs.334/99 e s.m.i., operazioni che i Comitati Tecnici svolgono nel settore del controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose.
Tra gli elementi approfonditi si sottolinea l'importanza del rispetto dei principi della trasparenza e della privacy riguardo ai procedimenti per la valutazione del rapporto di sicurezza; vengono evidenziati i legami dei procedimenti di valutazione del rapporto di sicurezza ed i procedimenti di formazione dello strumento urbanistico e di valutazione di impatto ambientale nonché le competenze regionali in materia di accessibilità del rapporto di sicurezza alla popolazione interessata, come unica autorità competente a ricevere eventuali richieste di accesso agli atti ed ai dati relativi al rapporto di sicurezza anche ai fini dell'espressione del parere di cui all'art.23 del D.Lgs.334/99 e s.m.i.
Il documento riguarda i parapetti provvisori, le reti di protezione e i sistemi combinati, e ha lo scopo di fornire una metodologia per la valutazione del rischio di caduta dall’alto e/o di urto contro il sistema di protezione dei bordi, nel corso di lavo

Sicurezza nei cantieri: segnalazione dell’Authority

02/02/2007 – L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture, in collaborazione con soggetti pubblici e associazioni competenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, ha svolto un’indagine sulla sicurezza nei cantieri.
Nel corso dell’indagine sono emerse alcune criticità nell’applicazione della disciplina di validazione dei piani di sicurezza e della verifica delle strutture provvisionali.

L’Authority ha quindi trasmesso al Governo e al Parlamento un atto di segnalazione relativo alle vigenti disposizioni in materia di sicurezza. È stato rilevato – si legge nel documento – che la stesura dei piani di sicurezza è attuata in maniera automatizzata sulla base dell’elenco dei lavori o dei computi metrici senza una particolare attenzione allo specifico cantiere.

Per quanto riguarda le opere provvisionali – inoltre – , si è potuto constatare che in alcuni casi queste assolvono, da un punto di vista statico, ad una funzione analoga a quella delle opere definitive, con la conseguenza che il diverso regime normativo che disciplina le suddette strutture appare immotivato e, in ogni caso, presenta ricadute negative in termini di sicurezza dei luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda il piano di sicurezza e coordinamento, parte integrante del progetto esecutivo ai sensi dell’art. 41 del D.P.R. 554/99, è stato rilevato che il Regolamento non prevede una specifica verifica dei contenuti all’atto della validazione del progetto da parte del responsabile del procedimento (art. 47, DPR 554/99). Questa disposizione pone la validazione degli elaborati riguardanti i piani di sicurezza in una posizione di secondaria importanza rispetto ai rimanenti elaborati del progetto esecutivo.

In conclusione, l’Autorità auspica che il Parlamento ed il Governo, nel riesaminare le normative vigenti in materia di opere provvisionali e di sicurezza nei cantieri, tengano in adeguata considerazione le suesposte osservazioni al fine di assicurare idonei livelli di sicurezza degli addetti ai cantieri. In particolare si ritiene opportuna l’introduzione di una specifica norma sulle opere provvisionali di rilevante importanza statica che stabilisca la verifica strutturale prima del loro utilizzo.

Protezione dal rumore, D.Lgs. 195/06

Il Consorzio Infotel ha provveduto alla creazione del Software Sicurtool (Modulo Rumore) che consente la valutazione dei rischi derivanti dall'esposizione al rumore, ai sensi del D. Lgs. 195/06. Il testo punta a riorganizzare la normativa vigente in materia – coordinando le numerose norme nazionali e comunitarie che si sono accumulate in 50 anni di legislazione – e a semplificare gli adempimenti formali a carico dei datori di lavoro. Sono entrate in vigore il 14 dicembre scorso, le nuove disposizioni in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione al rumore, introdotte dal Decreto legislativo n. 195 del 10 aprile 2006. Il DLgs 195/2006 integra il Dlgs 626/94, in attuazione della direttiva europea 2003/10/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e salute relative all'esposizione dei lavoratori al rumore. Il valore limite di esposizione è fissato a 87 dB(A), contro i precedenti 90 dB(A), mentre la pressione acustica di picco non deve superare i 140 dB(C) Oltre ad abbassare i valori massimi di esposizione, le nuove norme fissano gli obblighi del datore di lavoro: la valutazione del rischio sulla base del livello, del tipo e della durata dell'esposizione, dei valori limite previsti, degli effetti derivanti da interazioni fra rumore, sostanze ototossiche e vibrazioni, delle informazioni sanitarie e di quelle reperibili nella letteratura scientifica, nonché della disponibilità di dispositivi di protezione dell’udito.

Protezione dei bordi: una guida per la sicurezza

Sono state messe a punto dall’Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) le Linea guida per la scelta, l’uso e la manutenzione dei sistemi collettivi di protezione dei bordi. Il Consorzio Infotel ha messo a punto il Software 494 Cantieri System (Modulo Ponteggi System) nel rispetto della normativa vigente Legge n. 494/96 D.Lgs. 528/99 e D.P.R. n. 222/2003. Il documento riguarda i parapetti provvisori, le reti di protezione e i sistemi combinati, e ha lo scopo di fornire una metodologia per la valutazione del rischio di caduta dall’alto e/o di urto contro il sistema di protezione dei bordi, nel corso di lavori su solai, tetti, ponti, viadotti e lavori di scavo. Dopo una ricognizione dei riferimenti normativi, la linea guida illustra la redazione del documento di valutazione dei rischi e la susseguente individuazione delle misure di prevenzione e di protezione collettiva e/o individuale, come richiesto dal DLgs 626/94 e dal DLgs 494/96, e del piano di emergenza.