INL: provvedimento sospensione microimpresa

INL: provvedimento di sospensione a microimpresa

All’Ispettorato interregionale del lavoro di Roma e p.c. alla Direzione centrale per la tutela, la vigilanza e la sicurezza del lavoro agli Ispettorati interregionali e territoriali del lavoro

Oggetto: art. 14, D.Lgs. n. 81/2008 – adozione provvedimento di sospensione e microimpresa –  richiesta parere.

Si riscontra il quesito relativo alla possibilità di procedere all’adozione di un provvedimento di sospensione nei confronti di una impresa che occupi un solo dipendente “in nero” con conseguente violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del DVR e della nomina del RSPP.

Al riguardo, d’intesa con l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 509 del 20 gennaio 2023, si rappresenta quanto segue.

Ai sensi dell’art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008, i provvedimenti di sospensione “per le ipotesi di lavoro irregolare, non trovano applicazione nel caso in cui il lavoratore risulti l’unico occupato dall’impresa”.

Tale eccezione, la cui ratio risiede nella volontà del legislatore di escludere le c.d. microimprese dal campo di operatività del provvedimento di sospensione, è riferita esplicitamente alle sole ipotesi di occupazione di lavoratori irregolari.

Ne consegue che tale esclusione non troverà applicazione qualora siano contestualmente evidenziate le gravi violazioni di natura prevenzionistica indicate nell’allegato 1 al D.Lgs. n. 81/2008 – ivi compresa la mancanza del DVR o della nomina del RSPP – da sole sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare.

Da ultimo si ricorda che, qualora invece non sia adottato il provvedimento di sospensione in applicazione della deroga in questione, come chiarito con circ. n. 3/2021, il personale ispettivo dovrà comunque imporre, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 14 cit., ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro, disponendo l’allontanamento del lavoratore sino alla completa regolarizzazione anche sotto il profilo prevenzionistico.

fonte INL

Collaborazione del medico competente dell’ASL con il datore di lavoro

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE – SENTENZA 01 giugno 2021 N. 21521

L’obbligo di collaborazione del medico competente dell’ASL con il datore di lavoro.

La seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: TIRABOSCHI GIANPIETRO nato a BOLGARE il 09/12/1948 avverso la sentenza del 19/11/2019 della CORTE APPELLO di BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DELTA CARDIA che ha concluso chiedendo /1; e3 1454)

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale d Brescia nei confronti di Tiraboschi Gianpietro, giudicato responsabile del reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno di Enrico Moscardi e condannato alla pena ritenuta equa.

Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito Enrico Moscardi, infermiere professionale presso l’ospedale di Esine, aveva contratto il virus dell’epatite nello svolgimento della propria attività professionale. Era accaduto che il 13 agosto 2013, mentre effettuava un prelievo di sangue venoso su una paziente affetta da HVC e HVB, a causa di un improvviso movimento della mano di quest’ultima, il Moscardi era stato accidentalmente punto dall’ago che stava utilizzando nell’arteria radiale del polso sinistro.

Ad avviso dei giudici di merito cioè era stato possibile perché in uso all’infermiere era un ago cannula 18G Delta2, sprovvisto di dispositivo di sicurezza.

La malattia contratta dal lavoratore era da attribuirsi al Tiraboschi, che in qualità di medico competente dell’ASL di Vallecamonica Sebino aveva omesso di collaborare con il datore di lavoro nella valutazione del rischio biologico rappresentato, per il personale sanitario addetto all’UO di P.S. del presidio ospedaliero di Esine, anche dalla possibile contrazione di patologie infettive per via ematica a causa di punture e ferite con aghi e taglienti contaminati da sangue infetto. In particolare, la Corte di appello, ribadendo il giudizio del Tribunale, ha ritenuto accertato che la malattia era stata contratta dal Moscardi in occasione del prelievo ematico eseguito sulla paziente infetta; che la durata della malattia era stata superiore a 40 giorni e ciò in quanto il Moscardi aveva dovuto sottoporsi ad un trattamento farmacologico necessario per debellare il virus dall’organismo avente effetti collaterali che rendevano rilevanti, ai fini penali, anche le giornate di forzata inattività per ragioni di salute succedutesi nel corso della cura e imputabili a quelli effetti collaterali; in ogni caso, nel concetto di malattia rilevante ai fini dell’integrazione del reato di lesioni personali rientra qualsiasi alterazione anatomico funzionale dell’organismo e quindi anche lo stato di alterazione dell’organismo determinato dalla presenza in esso di un fattore patogeno potenzialmente in grado di portare quel processo a conclamate forme di acutizzazione.

Quanto alla condotta illecita attribuita al Tiraboschi, la Corte d’appello ha ritenuto accertato che nell’agosto del 2013 non vi erano a disposizione aghi cannula protetti e che la scelta dell’operatore circa l’uso degli aghi cannula o dei dispositivi denominati Butterfly – dotati di meccanismi di protezione – era determinata dall’uso che doveva essere fatto degli stessi e dalle condizioni del paziente,  sicchè non era una libera scelta dell’operatore quella di fare ricorso agli aghi cannula non protetti piuttosto che al cd. Butterfly.

La Corte di appello ha anche escluso che in ordine alla posizione del Tiraboschi potesse essere significativo che gli aghi cannula protetti non fossero disponibili presso la farmacia dell’ospedale, posto che al medesimo veniva rimproverato di non aver previsto l’adozione e l’uso degli stessi nel documento di valutazione dei rischi, alla cui stesura era stato chiamato a collaborare in qualità di medico competente.

A tal ultimo riguardo, la Corte di appello ha evidenziato che la tematica del rischio biologico conseguente all’utilizzo negli ospedali di aghi senza protezione era ben noto nella normativa specialistica dell’epoca del fatto e che l’affermazione dell’ imputato, secondo la quale egli avrebbe ripetutamente segnalato alla direzione sanitaria anche in sede di riunione periodico annuale ai sensi dell’articolo 35 TUSL la proposta di adottare quei presidi suggeriti dall’evoluzione della tecnologia e dunque gli aghi protetti, non trovava corrispondenza nella documentazione acquisita agli atti.

Pertanto, l’omissione ascritta al Tiraboschi era effettivamente sussistente ed aveva avuto un’effettiva incidenza rispetto al verificarsi dell’evento, perché una eventuale segnalazione effettuata dal medico competente, corredata di specifiche indicazioni e valutazioni circa la pericolosità dell’utilizzo dei dispositivi privi di protezione e la necessità di una loro sostituzione, avrebbe avuto quale seguito la concreta esecuzione delle misure e l’approvvigionamento di quelle attrezzature.

A tal proposito, per la corte territoriale, era proprio l’individuazione nel DVR della specifica misura antinfortunistica ad orientare la spesa in modo da renderne possibile l’adozione e non piuttosto il contrario.

Peraltro, con riferimento al caso concreto, la Corte di Appello ha escluso che il problema dei costi fosse un reale ostacolo, richiamando a riguardo la testimonianza della direttrice della farmacia dell’azienda ospedaliera, Angela Vender.

2. L’imputato ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, a mezzo del difensore avv. Aronne Bona, articolando cinque motivi. 2.1. Con il primo il ricorrente censura il ragionamento posto dalla Corte di appello alla base del giudizio di sussistenza del nesso causale perché esso viola il principio secondo il quale la responsabilità dell’imputato deve essere accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Ciò in quanto la corte distrettuale ha ritenuto che fosse decisivo che non fossero stati provati altri episodi potenzialmente causativi dell’evento, nonostante essi non siano stati cercati e in particolare, nessun accertamento clinico sia stato effettuato per individuare la reale causa di quanto accaduto all’infermiere. In sintesi, non è corretto individuare una potenziale causa ‘per esclusione’ senza in realtà una verifica sulle situazioni tutte potenzialmente causative dell’evento. Considerato l’ambiente nel quale operava il Moscardi non è al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana che egli si fosse infettato in altre circostanze. 2.2.

Con un secondo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 583 cod. pen. per aver la Corte di appello ritenuto che la durata della malattia del Moscardi abbia avuto una durata superiore a quaranta giorni sulla base di una nozione di malattia difforme dal concetto clinico, il quale richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità; pertanto la sentenza è viziata laddove computa un periodo di cura cautelativa per l’evenienza che il virus non fosse stato debellato.

Il terzo motivo attinge la motivazione che si reputa viziata da evidente illogicità perché il Tiraboschi è stato ritenuto corresponsabile con i soggetti (il datore di lavoro e il direttore del P.S.) con i quali era chiamato a collaborare, nonostante questi ultimi siano stati assolti. Il venir meno della presunta responsabilità principale non può che far venir meno quella concorrente. L’affermazione secondo la quale non grava sul delegato dal datore di lavoro il compito di valutare i rischi e di individuare i necessari Dpi non può che valere anche per il Tiraboschi; e se il coimputato Soccio (direttore dell’U.O. Pronto Soccorso) era stato assolto per non avere egli poteri di spesa e nemmeno obblighi di segnalazione non si può rimproverare alcunché al Tiraboschi che era nella medesima condizione. L’assoluzione del datore di lavoro, Pedrini Renato, tenuto all’adempimento dei propri obblighi senza necessità di sollecitazioni esterne, rende illogica la condanna del Tiraboschi. Il vizio motivazionale viene colto anche laddove si ritiene che il rischio in parola non fosse stato segnalato, nonostante esso fosse noto ed evidente e comunque segnalato dal Tiraboschi, dal Soccio e da altri soggetti operanti nel P.S. Inoltre, è una mera deduzione che alla segnalazione sarebbe seguita, da parte del datore di lavoro, l’adozione delle misure, perché dalle prove acquisite emerge che il Pedrini, pur avendo conoscenza del rischio, non ne aveva tenuto conto nel DVR.

Il quarto motivo denuncia la violazione delle previsioni del d.lgs. n. 81/2008 perché la Corte di appello non ha tenuto conto che il medico competente non ha poteri di decisione e di spesa e che da tutte le testimonianze è emerso che non era disponibile un budget adeguato alla necessità di acquisto degli aghi cannula protetti; e perché è stata pronunciata condanna senza escludere che vi fosse stata una denuncia del rischio anche solo in forma orale, non essendo previste forme particolari e che fosse rischio non rientrante nelle competenze del Tiraboschi. Con l’ultimo motivo si censura la sentenza impugnata per un ulteriore vizio motivazionale rinvenuto laddove la Corte di appello laddove la Corte di appello ha affermato il nesso causale tra la lesione del lavoratore e la condotta del Tiraboschi, senza considerare le circostanze che avrebbero comunque impedito l’acquisto dei dispositivi, ovvero l’assenza di fondi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato, per taluni motivi ai limiti dell’inammissibilità. 3.1. Con riferimento al primo motivo va rilevato che quel che il ricorrente prospetta è una interpretazione della ‘regola dell’esclusione’. Ovvero della prescrizione metodologica posta per prima dalla sentenza Franzese, per la quale nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002, Rv. 222138 – 01).

Pertanto, l’ipotesi causale fondata sulla legge di spiegazione generalizzante deve trovare conferma nel caso specifico mediante l’accertamento della inoperosità di causali alternative. Ma la prospettazione del ricorrente non è coerente con i principi posti dalla giurisprudenza. La quale richiede che il giudice si impegni nell’accertamento della inoperosità dei soli fattori che sono riconosciuti come astrattamente in grado di determinare l’evento e che gli elementi processuali indichino come presenti nella vicenda in esame. Fuori da questo perimetro la regola dell’esclusione sarebbe invero ingovernabile, perché dovrebbe confrontarsi con la semplice congettura della possibile esistenza di fattori alternativi, senza che gli stessi siano identificati dal sapere acquisito, e senza che i dati probatori disponibili diano indizi della loro presenza nella singola vicenda. 3.2. Il secondo motivo è parimenti infondato. L’insegnamento di questa Corte in merito al concetto di malattia ai sensi e agli effetti dell’art. 582 cod. pen. vuole che la relativa nozione non comprenda tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa (Sez. 5 – , Sentenza n. 33492 del 14/05/2019, Gattuso, Rv. 276930 – 01). La lesione personale deve considerarsi grave se l’incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni perduri oltre il quarantesimo giorno, ivi compreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia (Sez. 5, Sentenza n. 4014 del 27/10/2015, dep. 2016, Cucchiella, Rv. 267556 – 01).
3.3. Il terzo e il quarto motivo attengono al tema dei doveri del medico competente. Si assume che l’assoluzione del datore di lavoro e del suo delegato deve riflettersi sulla posizione del Tiraboschi. L’assunto, che peraltro non recluta alcun argomento giuridico ma si affida solo una sua pretesa logicità, è del tutto infondato. Il medico competente è titolare di una propria sfera di competenza; si tratta di un garante a titolo originario e non derivato. E peraltro, l’obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente, il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma primo, lett. a) e 58, comma primo, lett. c), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale (Sez. 3, Sentenza n. 38402 del 27/04/2018, Baldeschi, Rv. 273913 – 01). Il ricorso, poi, laddove pretende di dare rilievo all’ipotesi che la richiesta di acquisizione dei dispositivi di sicurezza sia stata fatta oralmente, propone un tema che avrebbe dovuto essere proposto in sede di merito. 3.4.

L’ultimo motivo è aspecifico. Il tema dell’esito del giudizio controfattuale è stato affrontato dalla corte territoriale che ha affermato la rilevanza causale del comportamento doveroso in ragione di circostanze di fatto puntualmente indicate. La motivazione al riguardo non è manifestamente illogica ed è ancorata a evidenze processuali neppure contestate dal ricorrente. 4. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/2/2021.

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Sentenza DVR e COVID-19

La sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 24 maggio 2021, n. 20416, si pronuncia sul rapporto tra il rischio biologico da contagio da COVID-19, la contrazione del virus e il conseguente obbligo del datore di lavoro di indicare tale rischio nel Documento di valutazione del rischio (DVR).

Cassazione Penale, Sez. 4, 24 maggio 2021, n. 20416 – Reato di epidemia colposa da Covid 19 nella casa di riposo. Non sussiste nesso di causalità tra l’omessa integrazione del DVR con il rischio biologico e la diffusione del virus

Il Tribunale per il riesame di Catania annullava il decreto di sequestro preventivo di una casa di riposo, emesso dal GIP del Tribunale di Caltagirone nei confronti del legale rappresentante della stessa, indagato per epidemia colposa e per violazioni in materia di salute e di sicurezza del lavoro contestate in violazione del d.P.C.M. 24 aprile 2020, connesso all’emergenza COVID-19.

Ricorre in Cassazione il Procuratore della Repubblica affermando che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che il reato di epidemia colposa postula necessariamente una condotta commissiva a forma vincolata, condotta che nel caso di specie non era stata ritenuta sussistente.

La Corte rigetta il ricorso ed esclude la configurabilità della fattispecie nella vicenda in esame in quanto l’ordinanza del Tribunale richiama un recente orientamento giurisprudenziale secondo cui, “in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile una responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 c.p., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente alla fattispecie a forma libera”.

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 04/03/2021

Fatto

1. Il Tribunale per il riesame di Catania, adito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., il 18 giugno – 30 luglio 2020 ha annullato il decreto di sequestro preventivo (e di convalida del sequestro di urgenza adottato dal P.M. il 12 maggio 2020) della casa di riposo “Don Bosco” di Caltagirone, emesso il 14-15 maggio 2020 dal G.i.p. del Tribunale di Caltagirone nei confronti di G.L., indagato per epidemia colposa (artt. 438-452 cod. pen.) e per violazioni in materia di salute e di sicurezza del lavoro (artt. 65, 68 e 271 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81), fatti ipotizzati come commessi tra il 22 aprile ed il 5 maggio 2020.

2. G.L. risulta essere il legale rappresentante della società cooperativa sociale che gestisce la casa di riposo “Don Bosco” di Caltagirone, oggetto di accertamenti da parte dei Carabinieri compendiati nelle note del 4, del 5, del 7 e dell’11 maggio 2020, che hanno segnalato, tra l’altro, la omessa doverosa integrazione del documento di valutazione dei rischi con le procedure previste dal D.P.C.M. 24 aprile 2020 e l’omesso aggiornamento dello stesso.

3. Ricorre per la cassazione dell’ordinanza il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Caltagirone, affidandosi a due motivi con i quali denunzia violazione di legge.
3.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 438 e 452 cod. pen.
Rammenta che il Tribunale ha ritenuto che il reato di epidemia colposa postuli necessariamente una condotta commissiva a forma vincolata, di per sé incompatibile con la responsabilità a titolo di omissione e, quindi, con il disposto dell’art 40, comma 2, cod. pen., che si riferisce solo ai reati a forma libera.
Secondo il P.M., invece, l’inciso “mediante la diffusione di germi patogeni” di cui all’art. 438 cod. pen. non rappresenta una peculiare modalità di realizzazione della condotta ma specifica il tipo di evento che la norma penale punisce in caso di verificazione: la fattispecie di cui agli artt. 438-452 cod. pen., per ragioni sia testuali che sistematiche, non esige una condotta commissiva a forma vincolata e, di per sé, non è incompatibile con una responsabilità di tipo omissivo.
In tal senso – sottolinea il ricorrente – si è pronunziata la Corte di cassazione nella motivazione della sentenza di Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791-01.
Prosegue così il ricorso: «Orbene, il COVID-19 è una malattia infettiva ad alto tasso di contagiosità (tanto da essere stata dichiarata “pandemia”), che, diffondendosi con elevata rapidità per via aerea e/o tramite contatto con superfici contaminate, desta un notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato di persone, propria a casa della sua capacità di propagazione. Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, anche la mancata integrazione e/o l’omesso aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi rispetto al rischio biologico in generale, e a quello da COVID-19 in particolare, costituiscono condotte che integrano gli estremi della fattispecie incriminatrice di cu agli artt. 438 e 452 c.p., a fronte della loro efficienza causale a cagionare un’epidemia a titolo colposo, come del resto si è verificato nel caso di specie, ove numerosi anziani (oggi deceduti) e lavoratori dipendenti sono risultati positivi al virus» (così alla pp. 3-4).
3.2. Con l’ulteriore motivo il ricorrente censura la violazione degli artt. 324, comma 7, 309, comma 9, e 321 cod. proc. pen., nella parte in cui il sindacato giurisdizionale non si è limitato ad accertare la possibilità di sussumere la fattispecie concreta in una delle figure di reato prospettate dal Pubblico Ministero (comprese quelle concernenti le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) ma si è spinto, eccedendo – si ritiene – i poteri al Tribunale spettanti, a sindacare la concreta fondatezza dell’ipotesi accusatoria.
Si chiede, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

4. Il P.G. della Corte di cassazione nelle conclusioni scritte del 15 febbraio 2021 (ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella I. 18 dicembre 2020, n. 176) ha chiesto il rigetto del ricorso.

5. Con ampia memoria, con allegati, in data 16 febbraio 2021 la difesa di G.L. ha chiesto rigettarsi il ricorso del P.M., per manifesta infondatezza dello stesso.

Diritto

1. Va premesso che il ricorso è tempestivo: infatti l’ordinanza impugnata risulta comunicata il 12 agosto 2020 al P.M., la cui impugnazione è stata depositata nella Cancelleria del Tribunale il 15 settembre 2020, quindi nei termini (a decorrere dal 1° settembre 2020): si applica, infatti, in materia di sequestri la generale disposizione di cui all’art. 585, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. in tema di impugnabilità dei provvedimenti emessi in camera di consiglio (come precisato già da Sez. U, n. 5 del 20/04/1994, Iorizzi, Rv. 197701, e costantemente seguito dalle Sezioni semplici, sino alla recente Sez. 3, n. 13737 del 15/11/2018, dep. 2019, Ficarra, Rv. 275190).

2. Nel merito, il ricorso è infondato, per le seguenti ragioni.

2.1. Quanto al primo motivo, con il quale il ricorrente contesta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui il reato contestato “evoca necessariamente una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con una responsabilità a titolo di omissione e, quindi, con il disposto dell’art. 40, comma secondo, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera” (pp. 3-4 dell’ordinanza impugnata), osserva il Collegio quanto segue.
L’ordinanza del Tribunale richiama espressamente il recente precedente di legittimità secondo il quale «In tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 cod. pen., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera» (Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017, dep. 2018, Giacomelli, Rv. 272261, v. specc. punti nn. 2., 2.1., 2.2. e 2.3., pp. 13-14, del “ritenuto in diritto”).
Non conferente, invece, poiché relativo a fatto del tutto diverso, il precedente di Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791, richiamato sia nel ricorso che nella memoria difensiva.
In ogni caso, l’ordinanza giustifica la decisione di annullamento con una “doppia motivazione” con la quale il ricorrente non si confronta.
Infatti, dopo avere affermato la inconfigurabilità in diritto (pp. 3-4), il Tribunale afferma che, «In ogni caso, ritiene il Collegio che, anche a voler aderire all’orientamento minoritario della dottrina e della giurisprudenza che qualificano il reato di epidemia colposa nella categoria dei c.d. “reati a mezzo vincolato” e come tali compatibili di essere convertiti, mediante la clausola di equivalenza di cui all’art. 40, secondo comma, c.p., in illeciti omissivi impropri, nel decreto di sequestro preventivo disposto in via d’urgenza il 12.05.2020 dal p.m. ex art. 321, comma 3 bis, c.p.p. e nel successivo decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip di Caltagirone, ex art. 321 c.p.p., il 14.05.2020, non vengono dedotti né illustrati gli elementi e le ragioni logico-giuridiche in base ai quali la condotta omissiva ascritta all’indagato sia causalmente collegabile alla successiva diffusione del virus da Covid-19 tra i pazienti ed il personale dalla casa di riposo diretta dal ricorrente […] Il Tribunale ritiene che, in applicazione delle teoria condizionalistica orientata secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, in assenza di qualsivoglia accertamento circa l’eventuale connessione tra l’omissione contestata al ricorrente e la seguente diffusione del virus non sia possibile ravvisare, nel caso de quo, la sussistenza del nesso di causalità tra detta omissione e la diffusione del virus all’interno della casa di riposo. Ed invero, alla stregua del giudizio controfattuale, ipotizzando come realizzata la condotta doverosa ed omessa dall’indagato, non è possibile desumere “con alto grado di credibilità logica o credibilità razionale” che la diffusione/contrazione del virus Covid-19 nei pazienti e nei dipendenti della casa di riposo sarebbe venuta meno. Non è da escludere, infatti, che qualora l’indagato avesse integrato il documento di valutazione dei rischi e valutato il rischio biologico, ex art. 27 D. lgs. 81/2008, la propagazione del virus sarebbe comunque avvenuta per fattori causali alternativi (come ad esempio per la mancata osservanza delle prescrizioni impartite nel DPCM per le case di riposo quali di indossare le mascherine protettive, del distanziamento o dell’isolamento dei pazienti già affetti da covid, ovvero a causa del ritardo negli esiti del tampone). Quanto accertato, dunque, non è sufficiente a far ritenere, in termini di qualificata probabilità richiesta in questa sede, la ricorrenza del fumus della fattispecie di epidemia colposa» (così alle pp. 4-5 del provvedimento impugnato).
Si tratta, con ogni evidenza, di motivazione esistente, non incongrua e non illogica, di per sé non sindacabile in sede di legittimità.
2.2. Quanto, poi, al secondo motivo di impugnazione, secondo il quale il Tribunale non si sarebbe limitato a verificare il fumus boni iuris, ma sarebbe entrato nel merito delle accuse, si rinviene adeguata risposta alla p. 2 dell’ordinanza impugnata, che richiama precedenti di legittimità pertinenti, in linea con il principio di diritto puntualizzato, tra le altre:
da Sez. 26, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni e altro, Rv. 272927-01, secondo cui «Nella valutazione del “fumus commissi delicti”, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice deve verificare la sussistenza di un concreto quadro indiziario, non potendosi limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa»;
da Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 265433- 01, secondo cui «Ai fini dell’emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del “fumus commissi delicti” attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilità di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato»;
e da Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, Vecchione Rv. 253508-01, secondo cui «Nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato; pertanto, ai fini dell’individuazione del “fumus commissi delicti”, non è sufficiente la mera “postulazione” dell’esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice del riesame nella motivazione dell’ordinanza deve rappresentare in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame» .
Nello stesso senso, tra le numerose altre decisioni di legittimità conformi, si richiamano Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 5, n.28515 del 21/05/2014, Ciampani ed altri, Rv. 260921; Sez. 3, n. 26197 del 05/05/2010, Bressan, Rv. 247694; Sez. 5, n. 37695 del 15/07/2008, Cecchi Gori e altro, Rv. 241632; Sez. 4, n. 10979 del 29/01/2007, Veronese, Rv. 236193.
Occorre, infine, convenire con il difensore dell’indagato G.L., allorquando osserva (alla p. 3 della memoria del 16 febbraio 2021) che il sequestro è stato disposto solo in relazione al reato di epidemia colposa, come risulta testualmente dal contenuto di p. 1 del decreto del G.i.p. di Caltagirone del 14-15 maggio 2020 (v. pp. 197-198 degli atti trasmessi dal P.M . al Tribunale per il riesame).

3. Consegue il rigetto dell’impugnazione.
Nulla per le spese, essendo il ricorrente Parte pubblica.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso il 04/03/2021

fonte https://olympus.uniurb.it/

procedure standardizzate dvr

Procedure Standardizzate dvr
ai sensi dell’ art. 29 del d . lgs.”  81 / 2008
DECRETO-LEGGE 12 maggio 2012 , n. 57

dvr standardPubblicato Decreto Interministeriale 30 novembre 2012 Procedure standardizzate

La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro istituita presso il Ministero del Lavoro ha approvato le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi nelle aziende che occupano fino a 10 lavoratori e facoltativamente per quelli che occupano sino a 50 dipendenti . ”

L’autocertificazione sarà  ammessa “fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2012 “.

SCHEMA DELLA PROCEDURA STANDARDIZZATA

 

  • Descrizione generale dell’azienda
  • Descrizione delle lavorazioni aziendali
  • lndividuazione dei pericoli presenti in azienda
  • Identificazione delle mansioni ricoperte dalle persone esposte e degli ambienti di lavoro interessati in relazione ai pericoli individuati
  • lndividuazione di strumenti informativi di supporto per l’effettuazione della valutazione dei rischi (registro infortuni, profili di rischio, banche dati su fattori di rischio indici infortunistici, liste di controllo, ecc.).
  • Effettuazione della valutazione dei rischi per tutti i pericoli individuati
  • Individuazione delle adeguate misure di prevenzione e protezione
  • Indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate
  • lndividuazione delle misure per garantire il programma di miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza
  • lndividuazione delle procedure per la attuazione delle misure

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procedure standardizzateProcedure standard per il DVR

procedure standardizzate dvrDVR Standard Schema e Procedura

 

DVR standard Definizione del programma di miglioramento
programma di miglioramento Dvr standardizzato

DVR standard Descrizione dell’azienda
Descrizione dell’azienda, del ciclo lavorativo attività  e delle mansioni

Compiti e responsabilità  DVR standard
Effettuare la valutazione sulla base della procedura standardizzata

Campo di applicazione procedure standardizzate dvr
Procedura Standardizzata per la valutazione dei rischi

DVR standard Individuazione dei pericoli presenti in azienda
Check List dei pericoli presenti in azienda

Istruzioni operative DVR standard
DVR standard la valutazione dei rischi

procedure standardizzate dvr
schema delle procedure standardizzate


Vedi Anche :

procedure standardizzateSCARICA Procedure standard per il DVR

DVR standard Definizione del programma di miglioramento

4″° Passo: Definizione del programma di miglioramento

Le misure ritenute opportune per il miglioramento della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori dovranno essere indicate nella colonna 6.

Completano il modulo i dati”  relativi”  all’incaricato/i della”  realizzazione (che”  può”  essere”  lo stesso datore”  di”  lavoro),”  delle”  misure”  di”  miglioramento (colonna 7)”  e la”  data”  di”  attuazione delle”  stesse (colonna 8).

Per programma di miglioramento si intende il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo”  dei livelli”  di salute e sicurezza (fra le quali ad”  esempio il controllo delle misure di sicurezza attuate”  per verificarne lo stato di efficienza e di funzionalità ).

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Da un punto”  di vista”  metodologico, ai fini della gestione dei rischi, è utile suddividere le misure di prevenzione e protezione previste”  per il”  piano”  di miglioramento, tra”  quelle tecniche, procedurali, organizzative, dispositivi di protezione individuali, formazione, informazione e addestramento, sorveglianza sanitaria.

Qualora”  il datore”  di”  lavoro”  lo ritenga opportuno ai fini”  di”  una migliore descrizione del”  processo”  di valutazione del”  rischio”  seguito”  e”  della”  gestione della”  attuazione delle”  misure di prevenzione e protezione, la”  modulistica”  indicata”  nei”  passi precedenti può”  essere”  ampliata con”  informazioni riportate in”  colonne aggiuntive.

modulo 3 dvr standard

 

DVR standard Definizione del programma di miglioramento
programma di miglioramento Dvr standardizzato

DVR standard Descrizione dell’azienda
Descrizione dell’azienda, del ciclo lavorativo attività  e delle mansioni

Compiti e responsabilità  DVR standard
Effettuare la valutazione sulla base della procedura standardizzata

Campo di applicazione procedure standardizzate dvr
Procedura Standardizzata per la valutazione dei rischi

DVR standard Individuazione dei pericoli presenti in azienda
Check List dei pericoli presenti in azienda

Istruzioni operative DVR standard
DVR standard la valutazione dei rischi

procedure standardizzate dvr
schema delle procedure standardizzate


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DVR Standard Schema e Procedura