Appalto integrato, i vincoli solo per le gare sotto la soglia

Il Dlgs113/2007 ha introdotto delle limitazioni all'affidamento congiunto di progettazione e lavori, ma solo per le gare sotto la soglia Ue dei 5, 2 milioni e solo per quelle che richiedono il progetto definitivo in sede di gara. Ma fino al regolamento si applicano le vecchie regole     Il secondo decreto correttivo interviene sensibilmente sull'appalto integrato apportando delle modifiche, ma resta ancora congelato e rimarrà tale fino all'entrata in vigore del regolamento attuativo del Codice, la cui approvazione è prevista per l'autunno (ma con un'entrata in vigore differita di sei mesi).
Solo il regolamento attuativo definirà quali siano i lavori per i quali potrà essere legittimo l'utilizzo di tale strumento.
Per quanto riguarda le gare sotto soglia il Dlgs 113/2007 introduce un nuovo periodo all'articolo 122, comma 1, disponendo che :” le stazioni appaltanti possono ricorrere ai contratti di cui all'articolo 53, comma 2, lettere b) e c), qualora riguardino lavori di speciale complessità o in caso di progetti integrali, come definiti rispettivamente dal regolamento di cui all’articolo 5, ovvero riguardino lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici”.
Le norme sull’appalto integrato riguardano esclusivamente la normativa relativa agli appalti di lavoro e, di conseguenza, gli articoli 53 e 122, comma 1, si applicano a quegli appalti misti nei confronti dei quali, le stazioni appaltanti avranno valutato quale prestazione prevalente, quella relativa ai lavori e accessoria quella relativa alla progettazione. 
 

Valutazione del rischio rumore negli ambienti di lavoro

Valutazione del rischio rumore negli ambienti di lavoro

 

D. Lgs. 626 Titolo V bis
“requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dall'esposizione al rumore durante il lavoro e in particolare per l'udito”

Il D.L.gs. 10 aprile 2006, n. 195 entrato in vigore il 14 giugno 2006, ha introdotto il nuovo Titolo V-bis nel D.Lgs. 626/94, dando completa attuazione della direttiva 2003/10/CE relativa all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore).

IL LIMITE DI ESPOSIZIONE E' ORA DI SOLI 87 db(A)
 (in termini di potenza sonora, è pari alla metà della precedente soglia di 90 db(a) del D.Lgs. 277)

Il decreto Legislativo 195/2006 riporta al capo due che il datore di lavoro deve valutare il rumore prendendo in considerazione : il livello, il tipo e la durata dell'esposizione, i valori limite di esposizione e i valori di azione, tutti gli effetti sulla salute, le informazioni sull'emissione di rumore fornite dai costruttori, l'individuazione di attrezzatura alternativa, la disponibilità di dispositivi di protezione dell'udito ed altro. Se a seguito della predetta valutazione il datore di lavoro constata che vengono superati i Valori inferiori di azione deve procedere alla misurazione dei livelli del rumore con apparecchiature idonee.  

Inquinamento acustico

DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) del 14/11/1997 – “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”.

I diversi valori limite sono riportati nelle tabelle A, B e C.

Tabella A : valori limite di emissione – Leq(Livello sonoro equivalente) in dB(A)

Classi di destinazione d'uso del territorio Tempi di riferimento   
   Diurno (06.00 – 22.00) Notturno (22.00 – 06.00)
I aree particolarmente protette 45 35
II aree prevalentemente residenziali 50 40
III aree di tipo misto 55 45
IV aree di intensa attività umana 60 50
V aree prevalentemente industriali 65 55
VI aree esclusivamente industriali 65 65

  


Tabella B: valori limite assoluti di immissione – Leq(Livello sonoro equivalente) in dB(A)


Classi di destinazione d'uso del territorio Tempi di riferimento  
   Diurno (06.00 – 22.00) Notturno (22.00 – 06.00)
I aree particolarmente protette 50 40
II aree prevalentemente residenziali 55 45
III aree di tipo misto 60 50
IV aree di intensa attività umana 65 55
V aree prevalentemente industriali 70 60
VI aree esclusivamente industriali 70 70

  


Tabella C: valori di qualità – Leq(Livello sonoro equivalente) in dB(A)


Classi di destinazione d'uso del territorio Tempi di riferimento   
    Diurno (06.00 – 22.00) Notturno (22.00 – 06.00)
I aree particolarmente protette 47 37
II aree prevalentemente residenziali 52 42
III aree di tipo misto 57 47
IV aree di intensa attività umana 62 52
V aree prevalentemente industriali 67 57
VI aree esclusivamente industriali 70 70


Definizioni:

Valori limite di emissione: il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora, misurato in prossimità della sorgente stessa;

Valori limite assoluti di immissione: il valore massimo di rumore immesso nell'ambiente esterno dall'insieme di tutte le sorgenti;

Valori di qualità: i valori di rumore da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le metodiche di risanamento disponibili, per realizzare gli obiettivi di tutela previsti dalla Legge Quadro.
Leq (Livello sonoro equivalente): Livello sonoro di un ipotetico rumore costante che, se sostituito al rumore reale, comporta la stessa quantità di energia sonora.

Sicurezza, caos sullo stop cantieri

“EDILIZIA INCLUSA”


MA LA NORMA RESTA AMBIGUA

Le regole previste dalla nuova legge sulla sicurezza (la 123/2007) sulla sospensione dei lavori per violazione delle norme antinfortunistiche riguarda anche l'edilizia. Il chiarimento dovrebbe arrivare con il varo di una circolare incaricata di rettificare quanto stabilito dalle istruzioni impartite dallo stesso dicastero del Welfare il 22 agosto scorso, ma il veloce cambiamento potrebbe non bastare a fugare la confusione normativa.


Alla base del caos c'è il dettato normativo dell'articolo 5 della legge 123, che la circolare del 22 agosto si è limitata ad interpretare in maniera letterale.


La legge 123/2007, oltre a contenere disposizioni immediatamente operative (è entrata in vigore il 25 agosto), delega al governo il varo di un testo unico che riveda e riordini tutta la normativa in materia di sicurezza, entro il 25 maggio 2008.


La sicurezza non è solo una questione di norme ma riguarda anche la progettazione; una completa e attenta organizzazione del cantiere è infatti la migliore garanzia contro gli infortuni.


La circolare del ministero del Lavoro del 22 agosto precisa che per identificare le violazioni “gravi” in materia di sicurezza bisogna far riferimento alle sanzioni punite con le maggiori pene poste a carico dei datori dei lavori e dei dirigenti tecnici, sia di carattere detentivo che pecuniario.


Questo però non basta a far scattare la sospensione dei lavori; la legge 123/2007 ha introdotto le gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza. E' necessario che nel quinquennio precedente ci sia stata la “reiterazione” dell'illecito, da intendersi come “recidiva aggravata”, e cioè riferita a una violazione della stessa natura, ovvero una violazione in materia di sicurezza e salute sul lavoro commessa negli ultimi cinque anni oggetto di prescrizione obbligatoria  o anche di giudicato penale.


La confusione nasce proprio da qui, in quanto tale aggiunta non è stata esplicitamente inserita nel dettato della legge 248 (che riguarda solo l'edilizia).


Il sottosegretario al ministero del Lavoro, Antonio Montagnino, sostiene che è fondamentale che le norme siano chiare; intanto l'obiettivo è quello di includere l'edilizia nell'applicazione delle nuove norme evitando ogni tipo di contenzioso.

CONSULTAZIONE DEL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA

SICUREZZA SUL LAVORO – D.Lgs n. 494/96- PIANI DI SICUREZZA E COORDINAMENTO CONSULTAZIONE DEL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, espressamente sollecitato da un apposito quesito dell'ANCE, ha puntualizzato, con la nota prot. n. 20861/PQCAN/9, le modalità per la consultazione da parte del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dei piani di sicurezza e di coordinamento (P.S.C.). Il committente od il responsabile dei lavori, in base al disposto degli art. 12 e 13 del D.Lgs n. 494/96, deve predisporre il P.S.C. che sarà disponibile per le imprese che concorrono alle opere d'appalto. Prima dell'accettazione del P.S.C. il datore di lavoro dell'impresa esecutrice deve consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. In ordine a tale incombenza il Ministero, con la succitata nota, precisa che la data di accettazione del P.S.C. da parte dell'impresa esecutrice è da riferirsi a quella di sottoscrizione del contratto medesimo e, pertanto, la consultazione del RLS deve avvenire anteriormente a tale data.

Resta inteso, pertanto, che questo adempimento, sanzionato dall'art. 22 con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 1.032 a 2.582 euro, è di competenza della sola impresa che si è aggiudicata l'appalto e non delle imprese che prendono solo visione del P.S.C. per la partecipazione alla gara d'appalto. Con l'occasione il Ministero ha altresì precisato che gli Organismi paritetici territoriali (CPT) possono fornire indirizzi operativi concordati tra le parti sociali in merito alla consultazione; ciò naturalmente nel rispetto di quanto previsto dall'art. 19, comma 1, lettera b) del D.Lgs 626/94 che prevede una consultazione “preventiva e tempestiva”. Le indicazioni di cui sopra sono di semplice attuazione se nell'impresa vi è il rappresentante dei lavoratori interno. Se non è presente il rappresentante interno si deve fare ricorso ai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza territoriali, in particolare per quanto attiene l'adempimento delle prescrizioni di cui all'art. 14 del D.Lgs 494/96 (consultazione prima dell'accettazione del piano).

E' opportuno che la consultazione preventiva risulti da apposito verbale o, quantomeno, documento scritto. Considerato che sono previste sanzioni di una certa entità si ritiene opportuno richiamare schematicamente gli adempimenti da attuare in materia di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

SANZIONI HACCP


SANZIONI HACCP

SANZIONI HACCP D.lvo 26 maggio 1997 n155

Definizioni. – Il D.L.vo 26 maggio 1997 n. 155 è stato emanato in attuazione delle direttive CEE nn. 93/43 e 96/3 concernenti l`igiene dei prodotti alimentari. Ai sensi dell`art. 2 del decreto si intende per “igiene dei prodotti alimentari” l`insieme delle misure necessarie per garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari.

Le norme previste da questo decreto si applicano quindi in tutte le fasi di produzione, preparazione, trasformazione e distribuzione delle sostanze alimentari successive alla cosiddetta “produzione primaria delle sostanze alimentari”, vale a dire alla raccolta, alla macellazione ed alla mungitura, che sono disciplinate nei loro aspetti giuridici da altre normative.

I soggetti obbligati ad adempiere agli obblighi previsti dal decreto sono le “industrie alimentari”.

La definizione di “industrie alimentari” è estremamente ampia.

La lettera b) del primo comma dell`art. 2 del D.L.vo 155/97 definisce “industrie alimentari”: “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari”.

Appare evidente, quindi, l`ampiezza della definizione, tale da ricomprendere qualunque struttura ove le sostanze alimentari vengono trattate.

2. Obblighi. – All`art. 3 del D.L.vo 155/97 si individuano gli obblighi che ricadono sui soggetti responsabili delle industrie alimentari. Tali obblighi sono:

1) l`individuazione nell`ambito della propria attività di ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti mediante l`individuazione, l`applicazione, il mantenimento e l`aggiornamento di adeguate procedure di sicurezza, avvalendosi del cosiddetto “sistema HACCP” (Hazard Analysis and Critical Control Points) (art. 3 comma 2).

Il sistema HACCP prevede alcuni principi di base individuati sempre nell`art. 3.

Essi sono:

a) analisi dei potenziali rischi per gli alimenti;

b) individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per gli alimenti;

c) decisioni da adottare riguardo ai punti critici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla sicurezza dei prodotti;

d) individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici;

e) riesame periodico, ed in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d`attività, dell`analisi dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza”.

2) Tenere a disposizione delle autorità competenti tutte le informazioni concernenti la natura, la frequenza ed i risultati relativi alla procedura HACCP sopra descritta (art. 3 comma 3).

3) Nel caso in cui, attraverso la procedura di autocontrollo, si ravvisino dei prodotti che possono presentare un rischio per la salute pubblica, informare l`autorità sanitaria ed attivarsi per il ritiro dal commercio dei prodotti sospetti (art. 3 comma 4).

Tali prodotti ritirati verranno poi messi a disposizione dell`autorità sanitaria, che provvederà alla loro conservazione o distruzione, a seconda dei casi.

4) Attenersi alle disposizioni igieniche previste dagli allegati al decreto, fatte salve quelle più dettagliate o rigorose attualmente vigenti (art. 3 comma 5).

L`art. 4 del D.L.vo 155/97 prevede la possibilità di elaborare manuali di corretta prassi igienica ai fini di individuare per ogni categoria di operatori le norme ed i sistemi HACCP più opportuni.

All`uopo tali manuali potranno essere elaborati o dalle associazioni di categoria o in collaborazione con il Ministero della sanità, tenendo conto anche delle norme europee EN 29000 oppure ISO 9000.

Il sistema di autocontrollo, tuttavia, non esclude a priori la possibilità che le autorità di vigilanza effettuino a loro volta dei controlli ufficiali sui prodotti alimentari.

Il controllo, che si effettua ai sensi del D.L.vo 3 marzo 1993 n. 123, ai sensi dell`art. 5 del D.L.vo 155/97 deve riguardare non soltanto i prodotti, ma anche la verifica dell`attuazione e dell`efficacia dei piani HACCP predisposti dall`industria alimentare oggetto di controllo.

3. Sanzioni. – L`art. 8 del D.L.vo 155/97 prevede le sanzioni per chi non ottempera alle norme del decreto medesimo.

Le sanzioni previste dal decreto sono amministrative e penali.

Più precisamente, il responsabile dell`industria alimentare è punito con:

“a) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire dodici milioni per l`inosservanza dell`obbligo di cui all`art. 3, comma 3;

b) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire diciotto milioni per la mancata o non corretta attuazione del sistema di autocontrollo di cui all`articolo 3, comma 3, o per l`inosservanza delle disposizioni di cui all`articolo 3, comma 5;

c) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire sessanta milioni per la violazione degli obblighi di ritiro dal commercio previsti dall`art. 3, comma 4″.

Le sanzioni amministrative, ai sensi del comma 2 dell`art. 8, sono applicate soltanto qualora il responsabile dell`industria alimentare non provveda ad eliminare le irregolarità del sistema HACCP entro un congruo termine prefissato dall`autorità di vigilanza.

Risulta quindi evidente come il legislatore abbia voluto prevedere un meccanismo di collaborazione fra l`industria alimentare e le autorità di vigilanza, stabilendo l`applicazione delle sanzioni soltanto nel caso in cui il responsabile dell`industria alimentare non tenga un comportamento adeguato al fine di garantire la salubrità e l`igiene dei prodotti alimentari.

In altri termini, la sanzione amministrativa non sarà applicata immediatamente al riscontro di ogni mancanza, ma occorrerà che la mancanza non venga eliminata secondo le prescrizioni ed i termini stabiliti dall`autorità sanitaria.

Ovviamente, le sanzioni amministrative sono applicate salvo che il fatto non costituisca reato, giacché in base al principio di specialità dell`ordinamento giuridico, se la violazione delle norme di autocontrollo costituisce di per sè stessa un`ipotesi di reato (es., commercio di sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica, art. 444 c.p.), il responsabile dell`industria alimentare verrà perseguito per tale reato e non per la violazione delle norme relative all`autocontrollo.

L`art. 8 comma 3 del D.L.vo 155/97 stabilisce invece la sanzione penale dell`arresto fino ad un anno e dell`ammenda da lire 600.000 a lire 60.000.000 qualora non vengano ottemperate le prescrizioni dell`autorità di vigilanza, ovvero non venga ottemperato l`obbligo di ritiro dal commercio previsto dall`art. 3 comma 4 del decreto medesimo qualora da tale violazione possa derivare pericolo per la salubrità e la sicurezza dei prodotti alimentari.

La sanzione penale prevista per il mancato adempimento dell`obbligo di cui all`art. 3 comma 4 è la vera novità di questo decreto.

L`obbligo, infatti, assomiglia molto ad un`autodenuncia.

Secondo questo decreto, il responsabile dell`industria alimentare che constati che i prodotti possono presentare un rischio immediato per la salute pubblica, deve ritirarli dal commercio, informandone l`autorità competente.

Ciò causerà due ordini di problemi: in primo luogo l`autorità informata di questo fatto si troverà in una situazione di profondo dilemma sul comportamento da tenere.

Da un lato, infatti, dovrà collaborare con l`industria alimentare al fine di evitare la distribuzione al consumo del prodotto alimentare ritenuto pericoloso, ma dall`altro, in virtù dell`obbligo che riguarda tutti gli uffici pubblici ed in mancanza di indicazioni contrarie previste dal D.L.vo 155/97, sarà tenuta ad informare dell`irregolarità la procura della Repubblica competente per territorio.

Ciò potrebbe comportare l`iscrizione di un procedimento penale a carico del responsabile dell`industria alimentare.

Si pensi, per esempio, ad un prodotto alimentare contaminato da viti cadute dalle macchine nelle confezioni dei biscotti: la messa in commercio di questi prodotti costituisce di per sè stessa il reato di cui all`art. 5 lett. d) della legge 30 aprile 1962 n. 283 od il più grave reato di cui all`art. 444 c.p.

A questo punto quale industriale, avuta conoscenza di un prodotto alimentare pericoloso, di fronte alla possibilità di essere denunciato per un reato, comunicherà tale notizia alla pubblica autorità?

Ecco quindi perché, sotto questo punto di vista, sarebbero opportune norme integrative che specificassero con chiarezza il comportamento della pubblica autorità in questi casi.

Il secondo ordine di problemi riguarda l`estensione di questo obbligo di ritiro, giacché non viene specificato fino a che punto il responsabile dell`industria alimentare debba operare attivamente per il ritiro dei prodotti irregolari.

È sufficiente che blocchi le future consegne dei prodotti tralasciando i prodotti già consegnati? Si deve attivare presso il grossista dei suoi prodotti, ritirando la merce dai depositi, o deve verificare in quali catene di negozi o supermercati i suoi prodotti sono in vendita e quindi provvedere a ritirarli?

In ultima analisi, deve pubblicare avvisi sui giornali così come si fa per i prodotti elettrici difettosi per informare il consumatore?

Tutte queste situazioni sono tralasciate dal D.L.vo 155/97, sicché sarà l`esperienza ad individuare i confini e le caratteristiche dell`obbligo di ritiro; certo è che, in relazione alla complessità della distribuzione dei prodotti alimentari, la possibilità di violare l`obbligo del ritiro ed essere quindi puniti con l`arresto fino ad un anno, rimane elevata.

4. Commenti. – L`oggetto di questa seconda parte riguarda un primo commento a questa nuova legge, con riferimento soprattutto alle questioni della responsabilità penale degli operatori del settore alimentare a seguito dell`entrata in vigore del D.L.vo 26 maggio 1997 n. 155.

Occorre infatti rilevare che la maggior parte dei reati alimentari prevede anche l`ipotesi colposa della condotta delittuosa; così i reati previsti espressamente dal codice penale (commercio di sostanze alimentari nocive, adulterate o contraffatte) accanto all`ipotesi dolosa, cioè di chi volontariamente pone in commercio prodotti pericolosi per la salute pubblica, prevedono anche l`ipotesi colposa di chi, pur non volendo porre in commercio sostanze pericolose, commette tale reato per colpa.

A ciò si aggiunge il fatto che, oltre ai delitti previsti dal codice penale, le fattispecie di reato in materia alimentare più comuni sono le contravvenzioni, ed in particolare quelle di cui all`art. 5 della legge 30 aprile 1962 n. 283.

Le contravvenzioni sono reati in cui l`elemento soggettivo prescinde dall`accertamento del dolo o della colpa. Possono cioè essere commessi indifferentemente volendo l`evento oppure anche in questo caso per semplice colpa.

Tralasciando l`aspetto doloso delle vicende occupiamoci invece di quelle che vengono realizzate colposamente.

Si pensi alle sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione previste dall`art. 5 lett. b) o alla vendita di sostanze alimentari alterate od invase da parassiti prevista dalla lett. d) del medesimo articolo.

Ora, la nozione di colpa è data dall`art. 43 del codice penale che definisce il reato colposo “quando l`evento, che è il risultato dell`azione, non è voluto dall`agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza od imperizia o per l`inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.

Si pensi, ad esempio, alla vendita di sostanze alimentari alterate: io conservo negligentemente un formaggio a temperatura ambiente, mentre lo stesso andava conservato a +4° C in frigorifero e, trascorso un certo periodo di tempo, il formaggio si altera.

È evidente che io non volevo l`alterazione del formaggio, ma questa si è verificata per una mia negligenza.

In dottrina si distingue fra la colpa c.d. “generica” – che è data dalla violazione di regole di diligenza, prudenza e perizia – e la colpa c.d. “specifica”, vale a dire l`inosservanza di specifiche leggi, regolamenti, ordini e discipline.

La dottrina si è sempre preoccupata di precisare i contorni della diligenza, della prudenza e della perizia.

Si sostiene in dottrina che le regole di diligenza che vigono nei vari contesti sociali sono la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo.

In altre parole, la prevedibilità e l`evitabilità dell`evento costituiscono i criteri di individuazione delle misure precauzionali da adottare nelle diverse situazioni concrete (ad es. moderare la velocità degli autoveicoli in caso di fondo stradale ghiacciato).

Il problema è, ovviamente, quello di verificare quale sia la misura di questo “dovere” di diligenza, giacché per poter stabilire un criterio oggettivo di prevedibilità occorre individuare con precisione quali siano le caratteristiche che rendono un determinato evento prevedibile.

La misura di questa prevedibilità è data dal parametro oggettivo dell`homo eiusdem professionis et condicionis, cioè la misura della diligenza, della perizia e della prudenza sarà valutata in base a quella del modello di agente che svolge la medesima professione.

Tutta questa premessa serve per inquadrare il problema della prevenzione ed evitabilità dell`evento nell`ambito dei reati alimentari.

Qui il problema è complesso perché è difficile individuare uno standard di diligenza da prendere a modello nel trattamento delle sostanze alimentari.

Si pensi, per fare un esempio, ad un formaggio in cui è stata rinvenuta listeria.

Vi sono certamente delle regole di esperienza nell`ambito dei caseifici (pulizia degli ambienti, sterilizzazione degli strumenti di lavoro, ecc.) che aiutano ad individuare la diligenza nell`adempimento della professione, ma non esiste una figura di casaro perfetto, paradigma di tutte le situazioni, su cui verificare in concreto se la manipolazione del formaggio sia stata diligente o meno.

Un altro problema è quello di individuare il soggetto responsabile dell`irregolarità e sotto questo profilo, per tornare all`esempio del formaggio, gli organi di vigilanza devono con difficoltà verificare se l`irregolarità era dovuta ad un fatto del produttore o del distributore o addirittura del trasportatore.

Tutto ciò pone dei problemi notevoli in ordine alla verifica della diligenza di tutti coloro che erano intervenuti nella filiera della preparazione, con il conseguente problema di attribuire la colpa dell`irregolarità ad un soggetto piuttosto che ad un altro.

L`importanza del D.L.vo 155/97 e dell`autocontrollo di cui all`art. 3 appare a questo punto evidente.

Attraverso l`autocertificazione, la valutazione dei rischi ed il controllo (HACCP) di ciascun responsabile dell`industria alimentare nella accezione estensiva di cui all`art. 1 gli organi di vigilanza avranno modo di verificare la diligenza di ciascun operatore, valutando l`efficacia o meno dei loro piani HACCP.

Non solo, ma il fatto che il D.L.vo 155/97 preveda espressamente l`elaborazione di manuali di corretta prassi igienica nelle varie fasi e nei vari settori contribuisce ad individuare uno standard obbligatorio per ciascuna professione e per ciascun operatore al quale attenersi, cosa che comporta l`individuazione di un modello di riferimento per giudicare la prevedibilità e l`evitabilità della condotta colposa.

Gli organi di vigilanza saranno quindi agevolati nei loro compiti di individuazione dei responsabili per i reati e, d`altro canto, anche gli operatori seri saranno agevolati, in quanto attraverso l`elaborazione dei piani HACCP saranno in grado di dimostrare la loro diligenza in modo più evidente rispetto al passato, facendo emergere più facilmente eventuali responsabilità altrui.

Così, tornando all`esempio del formaggio, se il produttore dimostrerà di aver adottato un efficace piano HACCP e così il trasportatore, mentre il rivenditore avrà un piano HACCP carante il sospetto della responsabilità graverà su quest`ultimo soggetto, presunzione che andrà poi accertata in concreto, con analisi del prodotto, tamponi delle attrezzature, ecc.

Sarà sufficiente rispettare questo modello di diligenza per evitare di subire sanzioni penali?

In altre parole, l`industriale che realizza un piano HACCP perfetto, esegue un controllo scrupoloso, si adegua ai manuali di sicurezza igienica, sarà per questo diligente?

Temo di dover rispondere, in base all`esperienza del passato, in maniera negativa: il rischio zero non esiste.

Per quanto possa essere efficace l`autocontrollo non si potrà mai avere la certezza al 100% di non porre in commercio prodotti alimentari irregolari.

Si tratta di capire se questo rispetto delle norme sia sufficiente ad evitare la responsabilità per il caso fortuito, e tale circostanza non potrà che essere verificata nella prassi giurisprudenziale.

Oltre a ciò, molto spesso si potranno verificare situazioni di piani HACCP solo sulla carta.

I piccoli imprenditori, infatti, non hanno le capacità e le possibilità economiche per effettuare un serio autocontrollo.

Un piccolo caseificio, che magari fattura qualche centinaio di milioni l`anno, può permettersi di spendere decine di milioni per le periodiche analisi di laboratorio dei propri prodotti?

È evidente che la risposta sarà negativa, e la giurisprudenza si dovrà occupare di casi nei quali l`HACCP, presente sulla carta, non è mai stato messo in opera.

I giudici, quindi, si occuperanno spesso di questi casi e si correrà il rischio di “svuotare” il significato del sistema HACCP non considerandolo di per sè stesso una circostanza utile all`esonero o alla limitazione della responsabilità penale dei titolari dell`industria alimentare.

L`individuazione delle responsabilità è un altro aspetto importante: chi è il soggetto cui concretamente si applicheranno le sanzioni? Ai sensi dell`art. 2 per responsabile si intende il titolare dell`industria alimentare od il responsabile specificamente delegato.

Il problema sarà quindi la delega.

Il delegato dovrà avere non soltanto la responsabilità, ma anche i poteri necessari per attuare il sistema HACCP.

Il titolare sarà liberato dalle responsabilità solo in quanto abbia dato potere al delegato di attuare sistemi di autocontrollo, dandogli un budget di spesa, dandogli la responsabilità di sospendere la produzione nel caso di evidenti rischi per la salute pubblica, dandogli la possibilità di avvalersi di consulenti esterni all`azienda, ecc.

Ma potrebbe essere considerato responsabile qualora invece non abbia fornito il delegato di tutti i poteri necessari cosicché il delegato non abbia concretamente la possibilità di attuare efficacemente il sistema HACCP.

Ciò comporterà da un lato l`evidente maggiore responsabilizzazione dei singoli addetti ma dall`altro, nel caso di insufficiente delega, comporterà il coinvolgimento dei vertici aziendali nelle problematiche produttive, cosa che in passato era meno evidente, mancando l`obbligo di predisporre idonei sistemi di autocontrollo.

ORGANI DI CONTROLLO


ORGANI DI CONTROLLO

RICHIESTE E SANZIONI ORGANI DI CONTROLLO

LEGGE 626

SU RICHIESTA DELLE ASL DI ZONA LE AZIENDE DOVRANNO PRESENTARE LA SEGUENTE DOCUMENTAZIONE

Definizioni. – Il D.L.vo 26 maggio 1997 n. 155 è stato emanato in attuazione delle direttive CEE nn. 93/43 e 96/3 concernenti l`igiene dei prodotti alimentari.

Ai sensi dell`art. 2 del decreto si intende per “igiene dei prodotti alimentari” l`insieme delle misure necessarie per garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari.

Le norme previste da questo decreto si applicano quindi in tutte le fasi di produzione, preparazione, trasformazione e distribuzione delle sostanze alimentari successive alla cosiddetta “produzione primaria delle sostanze alimentari”, vale a dire alla raccolta, alla macellazione ed alla mungitura, che sono disciplinate nei loro aspetti giuridici da altre normative.

I soggetti obbligati ad adempiere agli obblighi previsti dal decreto sono le “industrie alimentari”.

La definizione di “industrie alimentari” è estremamente ampia.

La lettera b) del primo comma dell`art. 2 del D.L.vo 155/97 definisce “industrie alimentari”: “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari”.

Appare evidente, quindi, l`ampiezza della definizione, tale da ricomprendere qualunque struttura ove le sostanze alimentari vengono trattate.

2. Obblighi. – All`art. 3 del D.L.vo 155/97 si individuano gli obblighi che ricadono sui soggetti responsabili delle industrie alimentari. Tali obblighi sono:

1) l`individuazione nell`ambito della propria attività di ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti mediante l`individuazione, l`applicazione, il mantenimento e l`aggiornamento di adeguate procedure di sicurezza, avvalendosi del cosiddetto “sistema HACCP” (Hazard Analysis and Critical Control Points) (art. 3 comma 2).

Il sistema HACCP prevede alcuni principi di base individuati sempre nell`art. 3.

Essi sono:

a) analisi dei potenziali rischi per gli alimenti;

b) individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per gli alimenti;

c) decisioni da adottare riguardo ai punti critici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla sicurezza dei prodotti;

d) individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici;

e) riesame periodico, ed in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d`attività, dell`analisi dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza”.

2) Tenere a disposizione delle autorità competenti tutte le informazioni concernenti la natura, la frequenza ed i risultati relativi alla procedura HACCP sopra descritta (art. 3 comma 3).

3) Nel caso in cui, attraverso la procedura di autocontrollo, si ravvisino dei prodotti che possono presentare un rischio per la salute pubblica, informare l`autorità sanitaria ed attivarsi per il ritiro dal commercio dei prodotti sospetti (art. 3 comma 4).

Tali prodotti ritirati verranno poi messi a disposizione dell`autorità sanitaria, che provvederà alla loro conservazione o distruzione, a seconda dei casi.

4) Attenersi alle disposizioni igieniche previste dagli allegati al decreto, fatte salve quelle più dettagliate o rigorose attualmente vigenti (art. 3 comma 5).

L`art. 4 del D.L.vo 155/97 prevede la possibilità di elaborare manuali di corretta prassi igienica ai fini di individuare per ogni categoria di operatori le norme ed i sistemi HACCP più opportuni.

All`uopo tali manuali potranno essere elaborati o dalle associazioni di categoria o in collaborazione con il Ministero della sanità, tenendo conto anche delle norme europee EN 29000 oppure ISO 9000.

Il sistema di autocontrollo, tuttavia, non esclude a priori la possibilità che le autorità di vigilanza effettuino a loro volta dei controlli ufficiali sui prodotti alimentari.

Il controllo, che si effettua ai sensi del D.L.vo 3 marzo 1993 n. 123, ai sensi dell`art. 5 del D.L.vo 155/97 deve riguardare non soltanto i prodotti, ma anche la verifica dell`attuazione e dell`efficacia dei piani HACCP predisposti dall`industria alimentare oggetto di controllo.

3. Sanzioni. – L`art. 8 del D.L.vo 155/97 prevede le sanzioni per chi non ottempera alle norme del decreto medesimo.

Le sanzioni previste dal decreto sono amministrative e penali.

Più precisamente, il responsabile dell`industria alimentare è punito con:

“a) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire dodici milioni per l`inosservanza dell`obbligo di cui all`art. 3, comma 3;

b) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire diciotto milioni per la mancata o non corretta attuazione del sistema di autocontrollo di cui all`articolo 3, comma 3, o per l`inosservanza delle disposizioni di cui all`articolo 3, comma 5;

c) la sanzione amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire sessanta milioni per la violazione degli obblighi di ritiro dal commercio previsti dall`art. 3, comma 4″.

Le sanzioni amministrative, ai sensi del comma 2 dell`art. 8, sono applicate soltanto qualora il responsabile dell`industria alimentare non provveda ad eliminare le irregolarità del sistema HACCP entro un congruo termine prefissato dall`autorità di vigilanza.

Risulta quindi evidente come il legislatore abbia voluto prevedere un meccanismo di collaborazione fra l`industria alimentare e le autorità di vigilanza, stabilendo l`applicazione delle sanzioni soltanto nel caso in cui il responsabile dell`industria alimentare non tenga un comportamento adeguato al fine di garantire la salubrità e l`igiene dei prodotti alimentari.

In altri termini, la sanzione amministrativa non sarà applicata immediatamente al riscontro di ogni mancanza, ma occorrerà che la mancanza non venga eliminata secondo le prescrizioni ed i termini stabiliti dall`autorità sanitaria.

Ovviamente, le sanzioni amministrative sono applicate salvo che il fatto non costituisca reato, giacché in base al principio di specialità dell`ordinamento giuridico, se la violazione delle norme di autocontrollo costituisce di per sè stessa un`ipotesi di reato (es., commercio di sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica, art. 444 c.p.), il responsabile dell`industria alimentare verrà perseguito per tale reato e non per la violazione delle norme relative all`autocontrollo.

L`art. 8 comma 3 del D.L.vo 155/97 stabilisce invece la sanzione penale dell`arresto fino ad un anno e dell`ammenda da lire 600.000 a lire 60.000.000 qualora non vengano ottemperate le prescrizioni dell`autorità di vigilanza, ovvero non venga ottemperato l`obbligo di ritiro dal commercio previsto dall`art. 3 comma 4 del decreto medesimo qualora da tale violazione possa derivare pericolo per la salubrità e la sicurezza dei prodotti alimentari.

La sanzione penale prevista per il mancato adempimento dell`obbligo di cui all`art. 3 comma 4 è la vera novità di questo decreto.

L`obbligo, infatti, assomiglia molto ad un`autodenuncia.

Secondo questo decreto, il responsabile dell`industria alimentare che constati che i prodotti possono presentare un rischio immediato per la salute pubblica, deve ritirarli dal commercio, informandone l`autorità competente.

Ciò causerà due ordini di problemi: in primo luogo l`autorità informata di questo fatto si troverà in una situazione di profondo dilemma sul comportamento da tenere.

Da un lato, infatti, dovrà collaborare con l`industria alimentare al fine di evitare la distribuzione al consumo del prodotto alimentare ritenuto pericoloso, ma dall`altro, in virtù dell`obbligo che riguarda tutti gli uffici pubblici ed in mancanza di indicazioni contrarie previste dal D.L.vo 155/97, sarà tenuta ad informare dell`irregolarità la procura della Repubblica competente per territorio.

Ciò potrebbe comportare l`iscrizione di un procedimento penale a carico del responsabile dell`industria alimentare.

Si pensi, per esempio, ad un prodotto alimentare contaminato da viti cadute dalle macchine nelle confezioni dei biscotti: la messa in commercio di questi prodotti costituisce di per sè stessa il reato di cui all`art. 5 lett. d) della legge 30 aprile 1962 n. 283 od il più grave reato di cui all`art. 444 c.p.

A questo punto quale industriale, avuta conoscenza di un prodotto alimentare pericoloso, di fronte alla possibilità di essere denunciato per un reato, comunicherà tale notizia alla pubblica autorità?

Ecco quindi perché, sotto questo punto di vista, sarebbero opportune norme integrative che specificassero con chiarezza il comportamento della pubblica autorità in questi casi.

Il secondo ordine di problemi riguarda l`estensione di questo obbligo di ritiro, giacché non viene specificato fino a che punto il responsabile dell`industria alimentare debba operare attivamente per il ritiro dei prodotti irregolari.

È sufficiente che blocchi le future consegne dei prodotti tralasciando i prodotti già consegnati? Si deve attivare presso il grossista dei suoi prodotti, ritirando la merce dai depositi, o deve verificare in quali catene di negozi o supermercati i suoi prodotti sono in vendita e quindi provvedere a ritirarli?

In ultima analisi, deve pubblicare avvisi sui giornali così come si fa per i prodotti elettrici difettosi per informare il consumatore?

Tutte queste situazioni sono tralasciate dal D.L.vo 155/97, sicché sarà l`esperienza ad individuare i confini e le caratteristiche dell`obbligo di ritiro; certo è che, in relazione alla complessità della distribuzione dei prodotti alimentari, la possibilità di violare l`obbligo del ritiro ed essere quindi puniti con l`arresto fino ad un anno, rimane elevata.

4. Commenti. – L`oggetto di questa seconda parte riguarda un primo commento a questa nuova legge, con riferimento soprattutto alle questioni della responsabilità penale degli operatori del settore alimentare a seguito dell`entrata in vigore del D.L.vo 26 maggio 1997 n. 155.

Occorre infatti rilevare che la maggior parte dei reati alimentari prevede anche l`ipotesi colposa della condotta delittuosa; così i reati previsti espressamente dal codice penale (commercio di sostanze alimentari nocive, adulterate o contraffatte) accanto all`ipotesi dolosa, cioè di chi volontariamente pone in commercio prodotti pericolosi per la salute pubblica, prevedono anche l`ipotesi colposa di chi, pur non volendo porre in commercio sostanze pericolose, commette tale reato per colpa.

A ciò si aggiunge il fatto che, oltre ai delitti previsti dal codice penale, le fattispecie di reato in materia alimentare più comuni sono le contravvenzioni, ed in particolare quelle di cui all`art. 5 della legge 30 aprile 1962 n. 283.

Le contravvenzioni sono reati in cui l`elemento soggettivo prescinde dall`accertamento del dolo o della colpa. Possono cioè essere commessi indifferentemente volendo l`evento oppure anche in questo caso per semplice colpa.

Tralasciando l`aspetto doloso delle vicende occupiamoci invece di quelle che vengono realizzate colposamente.

Si pensi alle sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione previste dall`art. 5 lett. b) o alla vendita di sostanze alimentari alterate od invase da parassiti prevista dalla lett. d) del medesimo articolo.

Ora, la nozione di colpa è data dall`art. 43 del codice penale che definisce il reato colposo “quando l`evento, che è il risultato dell`azione, non è voluto dall`agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza od imperizia o per l`inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.

Si pensi, ad esempio, alla vendita di sostanze alimentari alterate: io conservo negligentemente un formaggio a temperatura ambiente, mentre lo stesso andava conservato a +4° C in frigorifero e, trascorso un certo periodo di tempo, il formaggio si altera.

È evidente che io non volevo l`alterazione del formaggio, ma questa si è verificata per una mia negligenza.

In dottrina si distingue fra la colpa c.d. “generica” – che è data dalla violazione di regole di diligenza, prudenza e perizia – e la colpa c.d. “specifica”, vale a dire l`inosservanza di specifiche leggi, regolamenti, ordini e discipline.

La dottrina si è sempre preoccupata di precisare i contorni della diligenza, della prudenza e della perizia.

Si sostiene in dottrina che le regole di diligenza che vigono nei vari contesti sociali sono la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo.

In altre parole, la prevedibilità e l`evitabilità dell`evento costituiscono i criteri di individuazione delle misure precauzionali da adottare nelle diverse situazioni concrete (ad es. moderare la velocità degli autoveicoli in caso di fondo stradale ghiacciato).

Il problema è, ovviamente, quello di verificare quale sia la misura di questo “dovere” di diligenza, giacché per poter stabilire un criterio oggettivo di prevedibilità occorre individuare con precisione quali siano le caratteristiche che rendono un determinato evento prevedibile.

La misura di questa prevedibilità è data dal parametro oggettivo dell`homo eiusdem professionis et condicionis, cioè la misura della diligenza, della perizia e della prudenza sarà valutata in base a quella del modello di agente che svolge la medesima professione.

Tutta questa premessa serve per inquadrare il problema della prevenzione ed evitabilità dell`evento nell`ambito dei reati alimentari.

Qui il problema è complesso perché è difficile individuare uno standard di diligenza da prendere a modello nel trattamento delle sostanze alimentari.

Si pensi, per fare un esempio, ad un formaggio in cui è stata rinvenuta listeria.

Vi sono certamente delle regole di esperienza nell`ambito dei caseifici (pulizia degli ambienti, sterilizzazione degli strumenti di lavoro, ecc.) che aiutano ad individuare la diligenza nell`adempimento della professione, ma non esiste una figura di casaro perfetto, paradigma di tutte le situazioni, su cui verificare in concreto se la manipolazione del formaggio sia stata diligente o meno.

Un altro problema è quello di individuare il soggetto responsabile dell`irregolarità e sotto questo profilo, per tornare all`esempio del formaggio, gli organi di vigilanza devono con difficoltà verificare se l`irregolarità era dovuta ad un fatto del produttore o del distributore o addirittura del trasportatore.

Tutto ciò pone dei problemi notevoli in ordine alla verifica della diligenza di tutti coloro che erano intervenuti nella filiera della preparazione, con il conseguente problema di attribuire la colpa dell`irregolarità ad un soggetto piuttosto che ad un altro.

L`importanza del D.L.vo 155/97 e dell`autocontrollo di cui all`art. 3 appare a questo punto evidente.

Attraverso l`autocertificazione, la valutazione dei rischi ed il controllo (HACCP) di ciascun responsabile dell`industria alimentare nella accezione estensiva di cui all`art. 1 gli organi di vigilanza avranno modo di verificare la diligenza di ciascun operatore, valutando l`efficacia o meno dei loro piani HACCP.

Non solo, ma il fatto che il D.L.vo 155/97 preveda espressamente l`elaborazione di manuali di corretta prassi igienica nelle varie fasi e nei vari settori contribuisce ad individuare uno standard obbligatorio per ciascuna professione e per ciascun operatore al quale attenersi, cosa che comporta l`individuazione di un modello di riferimento per giudicare la prevedibilità e l`evitabilità della condotta colposa.

Gli organi di vigilanza saranno quindi agevolati nei loro compiti di individuazione dei responsabili per i reati e, d`altro canto, anche gli operatori seri saranno agevolati, in quanto attraverso l`elaborazione dei piani HACCP saranno in grado di dimostrare la loro diligenza in modo più evidente rispetto al passato, facendo emergere più facilmente eventuali responsabilità altrui.

Così, tornando all`esempio del formaggio, se il produttore dimostrerà di aver adottato un efficace piano HACCP e così il trasportatore, mentre il rivenditore avrà un piano HACCP carante il sospetto della responsabilità graverà su quest`ultimo soggetto, presunzione che andrà poi accertata in concreto, con analisi del prodotto, tamponi delle attrezzature, ecc.

Sarà sufficiente rispettare questo modello di diligenza per evitare di subire sanzioni penali?

In altre parole, l`industriale che realizza un piano HACCP perfetto, esegue un controllo scrupoloso, si adegua ai manuali di sicurezza igienica, sarà per questo diligente?

Temo di dover rispondere, in base all`esperienza del passato, in maniera negativa: il rischio zero non esiste.

Per quanto possa essere efficace l`autocontrollo non si potrà mai avere la certezza al 100% di non porre in commercio prodotti alimentari irregolari.

Si tratta di capire se questo rispetto delle norme sia sufficiente ad evitare la responsabilità per il caso fortuito, e tale circostanza non potrà che essere verificata nella prassi giurisprudenziale.

Oltre a ciò, molto spesso si potranno verificare situazioni di piani HACCP solo sulla carta.

I piccoli imprenditori, infatti, non hanno le capacità e le possibilità economiche per effettuare un serio autocontrollo.

Un piccolo caseificio, che magari fattura qualche centinaio di milioni l`anno, può permettersi di spendere decine di milioni per le periodiche analisi di laboratorio dei propri prodotti?

È evidente che la risposta sarà negativa, e la giurisprudenza si dovrà occupare di casi nei quali l`HACCP, presente sulla carta, non è mai stato messo in opera.

I giudici, quindi, si occuperanno spesso di questi casi e si correrà il rischio di “svuotare” il significato del sistema HACCP non considerandolo di per sè stesso una circostanza utile all`esonero o alla limitazione della responsabilità penale dei titolari dell`industria alimentare.

L`individuazione delle responsabilità è un altro aspetto importante: chi è il soggetto cui concretamente si applicheranno le sanzioni? Ai sensi dell`art. 2 per responsabile si intende il titolare dell`industria alimentare od il responsabile specificamente delegato.

Il problema sarà quindi la delega.

Il delegato dovrà avere non soltanto la responsabilità, ma anche i poteri necessari per attuare il sistema HACCP.

Il titolare sarà liberato dalle responsabilità solo in quanto abbia dato potere al delegato di attuare sistemi di autocontrollo, dandogli un budget di spesa, dandogli la responsabilità di sospendere la produzione nel caso di evidenti rischi per la salute pubblica, dandogli la possibilità di avvalersi di consulenti esterni all`azienda, ecc.

Ma potrebbe essere considerato responsabile qualora invece non abbia fornito il delegato di tutti i poteri necessari cosicché il delegato non abbia concretamente la possibilità di attuare efficacemente il sistema HACCP.

Ciò comporterà da un lato l`evidente maggiore responsabilizzazione dei singoli addetti ma dall`altro, nel caso di insufficiente delega, comporterà il coinvolgimento dei vertici aziendali nelle problematiche produttive, cosa che in passato era meno evidente, mancando l`obbligo di predisporre idonei sistemi di autocontrollo.