macchina stiratrice

Cassazione Penale, Sez. 4, 04 febbraio 2022, n. 3938

Difetto strutturale della macchina stiratrice-piegatrice: responsabilità dei produttori della macchina

1. Con sentenza del 24 maggio 2019 la Corte di Appello di Ancona ha parzialmente riformato, revocando le statuizioni civili, la sentenza del Tribunale di Macerata con cui S.M. e C.T., nella loro qualità di amministratori della Cema Mechanical Group, società produttrice della macchina – denominata Mercurio 60.33.G, sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 590, commi 2 e 3 cod. pen., per avere cagionato ad A.B. lesioni personali gravissime, consistite in trauma da schiacciamento alla mano destra con ustioni di terzo grado, che determinavano l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per la durata di giorni 53, oltre un elevato grado di inabilità permanente.
2. Il fatto viene riassunto dai giudici di merito nel modo che segue: il giorno 24 agosto 2012 A.B., da poco assunta presso la lavanderia dei genitori, addetta dalla madre alla macchina stiratrice e piegatrice prodotta dalla Cema Mechanical Group, avvedutasi che un capo di vestiario era rimasto incastrato tra le fasce dei rulli della parte inferiore della macchina -nonostante l’istruzione ricevuta dalla madre di attendere il ritorno del padre, affinché intervenisse sul macchinario- senza spegnerlo, girava la piccola farfalla di chiusura ed alzata la griglia di protezione con la mano sinistra cercava di rimuovere il capo, rimanendo incastrata fra i rulli con la mano destra, che veniva esposta ad una temperatura di oltre cento gradi. La madre della lavoratrice spegneva il macchinario, ma non sapendo come liberare l’arto chiamava il marito, che prontamente interpellava C.T., il quale, a sua volta consigliato dall’ingegnere produttore, indicava nel giramento della leva posta sulla parte destra del macchinario, in senso opposto alla freccia per evitare l’ulteriore trascinamento, l’operazione necessaria a liberare la mano dal meccanismo.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono ricorso per cassazione gli imputati per cassazione affidandolo a sei motivi di impugnazione.
4. Con il primo fanno valere la falsa applicazione dell’art. 590, comma 3 cod. pen., in relazione al disposto dell’allegato I, punto 1.2.3.4. del d. lgs. 17/2010. Rilevano che il macchinario prodotto dalla Cema Mechanical Group rispetta i requisiti di sicurezza indicati dalla normativa, che stabilisce che le apparecchiature debbano essere munite da uno o più dispositivi di emergenza, che consentano di evitare situazioni di pericolo imminente o concretamente in atto, escludendo dall’obbligo le macchine in cui il dispositivo di emergenza non può ridurre il rischio, in quanto non riduce il tempo normale di arresto. Osservano che il macchinario coinvolto nel sinistro presentava doppi comandi di arresto, per consentire a due operatori di intervenire sull’arresto di emergenza con un dispositivo a portata di braccio, collocato in un punto diverso dalla parte dell’apparecchio accessibile ai soli manutentori. Aggiungono che era assolutamente vietata la rimozione dei pannelli di protezione, sicché la causa del sinistro non può che essere ascritta alla condotta tenuta dalla lavoratrice e dal suo datore di lavoro.
5. Con il secondo motivo si dolgono della violazione dell’art. 590, comma 3 cod. pen. in relazione all’Allegato I, punto 1.4.2.1. d. lgs. 17/2010. Ricordano che la norma che si assume violata prevede che il fissaggio dei ripari fissi sia ottenuto con sistemi che richiedono l’uso di utensili per l’apertura e lo smontaggio, e che ‘se possibile’ i ripari non devono poter rimanere al loro posto in mancanza dei loro mezzi di fissaggio. La non perentorietà della disposizione rimette al costruttore la scelta, il che comporta che il macchinario prodotto dai ricorrenti era comunque conforme alla previsione.
6. Con il terzo motivo lamentano la falsa applicazione dell’art. 590, comma 3, in relazione all’Allegato I, punto 1.7.4.2. del d. lgs. 17/2010. Criticano il ragionamento della Corte territoriale nella parte in cui afferma che il manuale di istruzioni era privo di indicazioni sugli usi scorretti, laddove, invece, erano previsti specifici divieti, che non lasciavano dubbi sull’interpretazione ed erano idonei a prevenire comportamenti negligenti degli operatori.
7. Con il quarto motivo censurano il vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di motivare in merito alla violazione delle regole cautelari da parte del datore di lavoro, A.A., madre della persona offesa, come emersa dalla consulenza tecnica; condotta causalmente rilevante, ma ignorata dal giudice di secondo grado.
8. Con il quinto motivo fanno valere la violazione del disposto degli artt. 590, comma 3, 113 e 41 cod. pen. ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di valutare la condotta della persona offesa, la cui esorbitanza dalle mansioni affidate e dalle istruzioni impartite comporta l’interruzione del nesso causale fra la condotta contestata agli imputati e l’evento. Richiamano la giurisprudenza di legittimità sul principio di auto-responsabilità e sulla natura collaborativa della prestazione del lavoratore nella prospettiva antinfortunistica.
Osservano che il giudice di seconda cura dimentica che la normativa sulla sicurezza del lavoro è rivolta principalmente al datore di lavoro, il quale è l’unico soggetto tenuto a predisporre il DVR ed il POS. Sottolineano che l’attribuzione del reato commissivo mediante omissione impone un’accurata individuazione delle competenze attribuite al soggetto individuato come garante, in modo da poter affermare la sua responsabilità per non avere impedito l’evento, mentre, nel caso di specie, nessuna argomentazione è stata svolta sul punto, benché sia pacifico, perché ammesso, che la lavoratrice violò gli ordini impartiti dalla madre, la cui osservanza avrebbe impedito l’evento.
9. Con il sesto motivo si dolgono dell’erronea applicazione dell’art. 23 d. lgs. 81/2008 in relazione alle previsioni della Direttiva 2006/42/CEE e del vizio di motivazione per contrasto di giudicati. Assumono che la Corte territoriale ha ritenuto il macchinario non rispondente alle disposizioni di cui al d. lgs. 17/2010 ed alla direttiva 2006/42/CEE, cui il decreto legislativo dà attuazione, ancorché detta potestà spetti agli organi amministrativi, tanto che l’art. 6 comma 2 d. lgs. cit. stabilisce che gli ispettori che ritengano un macchinario non conforme alle prescrizioni ne informino il Ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro, che attraverso l’ISPELS si pronuncia sulla conformità. Invero, la Procura della Repubblica di Teramo, cui era stata comunicata la notitia criminis sulla produzione di un macchinario non a norma, ha archiviato il procedimento, una volta spirato il termine prescrizionale in assenza di pronuncia dei Ministeri competenti. Concludono per l’annullamento della sentenza impugnata.

Diritto

1. I ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili.
2. I motivi vanno trattati nel loro ordine logico, partendo, dunque dall’ultima doglianza proposta, con cui si lamenta del tutto impropriamente il contrasto di ‘giudicati’ fra la sentenza qui impugnata e un decreto di archiviazione, peraltro neppure allegato, asseritamente relativo alla determinazione del Pubblico ministero, evidentemente accolta dal G.I.P., con cui si è ritenuto di non esercitare l’azione penale per il reato di cui all’art. 23 d. lgs. 81/2008, essendo decorso il termine di prescrizione.
Al di là dell’erronea qualificazione come contrasto di giudicati del contenuto diverso delle determinazioni di due provvedimenti -una decisione sottoposta ad impugnazione ed un decreto di archiviazione- non dotati di definitività e comunque non suscettibili di confronto, stante la diversa efficacia procedimentale, vi è che il principio su cui si basa la censura, secondo la quale in assenza di provvedimento amministrativo di ritiro dal mercato o di divieto di immissioni, assunto ai sensi dell’art. 6, comma 4 d. lgs. 17/2010, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, il giudice non potrebbe ritenere non conforme il macchinario, è privo di fondamento. Sebbene, infatti, la valutazione sulla sicurezza della macchina oggetto del controllo da parte dell’organo amministrativo possa ritenersi sovrapponibile a quella che il giudice deve formulare nel processo, nondimeno, si tratta di due giudizi distinti, aventi finalità differenti, il cui esito è autonomo e non vincolante, non essendo in alcun modo previsto dal legislatore che l’accertamento giudiziale -cui si deve pervenire nel contraddittorio processuale- sia condizionato a quello amministrativo, o viceversa.
3. Ciò premesso possono affrontarsi congiuntamente i primi tre motivi di doglianza, strettamente connessi fra loro, con i quali i ricorrenti lamentano un inadeguato vaglio della corrispondenza del macchinario su cui è avvenuto l’infortunio alla normativa di cui al d. lgs. 17/2010, attuativa della Direttiva Macchine 2006/42/CE.
4. La Corte, dato atto della pacifica dinamica del sinistro, spiega che la perizia disposta in sede di seconda cura ha consentito di accertare che il dispositivo fisso di chiusura, posto sulla parte frontale del mangano, ovverosia della parte cilindrica dell’apparecchiatura, era dotato unicamente di un dado alettato, che consentiva di eludere il divieto di apertura con una semplice rotazione. Sicché l’assenza di un impedimento automatico di blocco per il sollevamento della griglia permetteva l’accesso alle parti pericolose del macchinario, con rischio di impigliamento, trascinamento, schiacciamento ed ustioni, stante l’altissima temperatura di lavorazione della stiratrice. Inoltre, come emerso dal contributo tecnico e dalle fotografie acquisite sulla macchina non erano indicate le modalità di intervento in caso di inceppamento. Ed anzi, il pittogramma presente sopra la manovella per la rotazione dei rulli recava un’indicazione di verso opposta a quella per liberarli dall’inceppamento, mentre il manuale di funzionamento non indicava, all’epoca dei fatti, i rischi cui il lavoratore era esposto in caso di rimozione del pannello frontale, né vietava espressamente la rimozione della griglia, il cui sollevamento, peraltro, non produceva l’arresto dei meccanismi. Infine, il manuale non riportava la manovra da fare nell’ipotesi di inceppamento o di trascinamento dell’operatore, tanto è vero che era stato necessario chiamare il produttore per sapere come risolvere la situazione.
5. Ora, a fronte di siffatta completa ricostruzione della configurazione dell’apparecchiatura e dei suoi difetti di sicurezza, nonché della carenza del manuale d’uso, i ricorrenti richiamano le disposizioni della Direttiva Macchine, come recepita dal d. lgs. 17/2010, pretendendo di evincere dalle regole fissate sull’arresto di emergenza (punto 1.2.4.3. dell’Allegato I), sui ripari fissi (punto 1.4.2.1 dell’Allegato I) e sul contenuto del manuale d’uso (punto 1.7.4.2), non tanto la conformità del macchinario, quanto l’esenzione dagli obblighi fissati.
Ed infatti, affermano che il macchinario era dotato di doppi comandi di arresto, correttamente posizionati, il che lo rendeva conforme alla previsione, senza avvedersi che la condotta ascritta riguarda non la presenza o l’assenza di comandi di arresto di facile utilizzo, ma la possibilità di raggiungere la parte rotante del meccanismo, semplicemente svitando un dado ad alette, senza che il sollevamento della griglia di accesso blocchi il movimento.
Del pari, rilevano che la disposizione sui ripari fissi che impone che i medesimi non restino al loro posto in mancanza dei mezzi di fissaggio, è condizionata dalla ‘possibilità’, con la conseguenza che essa è rimessa al costruttore.
Si tratta, nondimeno, di una lettura parziale del testo normativo, il cui significato va colto nello spirito della legge, che non è affatto quello di rimettere al costruttore l’adempimento all’obbligo di cautela, ma quello di adattare le precauzioni alla conformazione dei diversi macchinari. In questo senso va interpretata la premessa ‘se possibile’ di cui al terzo alinea del punto 1.4.2.1. dell’Allegato I. Nel caso di specie, i ricorrenti neppure allegano l’impossibilità di rispettare il disposto normativo in relazione alla conformazione e funzionalità dell’apparecchiatura, né danno conto di un diverso sistema sostitutivo atto ad impedire l’apertura della griglia.
Egualmente avulsa dallo spirito legislativo è la pretesa di attribuire al semplice divieto, contenuto nel manuale d’uso, esaustivo significato esplicativo dell’utilizzo di un macchinario, quando la dettagliata previsione del capo 1.7 al punto 1.7.4.2., chiarisce alla lett. q) che deve essere indicato “il metodo operativo da rispettare in caso di infortunio o avaria; se si può verificare un blocco, il metodo operativo da rispettare per permettere di sbloccare la macchina in condizioni di sicurezza”. Informazione questa pacificamente mancante, secondo la ricostruzione della Corte territoriale.
D’altro canto, come ricorda la sentenza impugnata, sia il macchinario, che il manuale d’uso sono stati modificati e resi conformi alle prescrizioni successivamente all’infortunio.
6. Il quarto motivo è inammissibile. La censura, con cui ci si duole della mancata considerazione della condotta del datore di lavoro quale concausa dell’evento, è meramente ripetitiva di quella già proposta con l’appello e non si confronta con la risposta data dal giudice di seconda cura, che pur non negandone il contributo causale, esclude che essa possa recidere il nesso eziologico fra le violazioni commesse dai ricorrenti e l’evento.
La giurisprudenza di legittimità, invero, ha chiarito in plurime occasioni come sia inammissibile per genericità “il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. Sez. 2 – , Sentenza n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 Ud. Rv. 260608; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 Ud. Rv. 259425; Sez. 6A, n. 34521 del 27 giugno 2013; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Ud. Rv. 25568; Sez. 3, n. 29612 del 05/05/2010 Ud. Rv. 247741; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838).
7. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
8. I ricorrenti invocano l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “In tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia” (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all’interno della macchina stessa anziché utilizzare l’apposito palanchino di cui era stato dotato)” (Sez. 4, Sentenza n. 5007 del 28/11/2018, dep. 01/02/2019, Rv. 275017), sottolineando che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura dei garanti ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (Sez. 4, Sentenza n. 8883 del 10/02/2016, Rv. 266073). Quindi non solo occorre che il giudice individui quali sono gli obblighi precauzionali attribuiti al soggetto individuato come garante, ma anche che valuti se il comportamento del lavoratore, assunto in palese contrasto con le prescrizioni imposte, si ponga come fattore interruttivo del nesso causale fra la condotta del garante e l’evento, essendo questo riconducibile all’azione del garantito.
Ora, la responsabilità colposa del costruttore, che deriva dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, cioè dalla mancata predisposizione dei sistemi di sicurezza previsti dalla normativa di settore e da quelli che, in relazione alla singola apparecchiatura, si rivelino idonei ad evitare che l’uso del macchinario costituisca pericolo per colui che lo utilizza, può essere esclusa solo quando si provi che l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (così Sez. 4, n. 1216 del 26/10/2005, dep. 13/01/2006, Rv. 233174) o quando il macchinario sia utilizzato in modo del tutto improprio, tale da poter essere considerato, a sua volta, causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento.((Sez. 4, n. 42110 del 21/10/2021, Rv. 282300; Sez. 4, n. 5541 del 08/11/2019, dep. 12/02/2020, Rv. 278445; Sez. 4, n. 39157 del 18/01/2013, Rv. 256390).
9. Ciò, tuttavia, non accade mai quando il macchinario viene usato per lo scopo che gli è proprio e per il quale è stato prodotto, perché lo strumento, il mezzo o l’apparecchiatura debbono consentire l’utilizzo in sicurezza da parte dell’utente, attraverso l’adozione degli accorgimenti che la tecnologia offre al fine di evitare il prodursi di un evento avverso, derivante dal meccanismo di funzionamento. E ciò indipendentemente dal fatto che colui che lo usa erri nell’utilizzo, o manchi di adottare le cautele previste, o sinanco cerchi di aggirarle, salvo che per farlo non modifichi significativamente la sua struttura, in modo non preventiva bile dal costruttore.
10. Nel caso di specie, l’infortunio si è prodotto per un difetto strutturale della macchina stiratrice-piegatrice prodotta dalla Cema Mechanical Group, che consentiva l’accesso ai rulli, a macchina funzionante, semplicemente attraverso lo svitamento di un dado a farfalla ed il sollevamento della griglia da quello mantenuta. L’operazione svolta dalla lavoratrice, che ha compiuto la manovra, al fine di recuperare un capo incastratosi nel meccanismo, non costituisce un uso improprio od abusivo dello strumento, posto che si colloca nell’ambito dell’uso del macchinario per la funzione tipica per la quale il medesimo è stato prodotto.
Siffatto utilizzo, nondimeno, si è rivelato pericoloso proprio perché l’apparecchiatura -come si è precisato supra- non era dotata di sistema di sicurezza che impedisse al lavoratore di esporre parti del corpo al meccanismo rotante con la macchina in funzione, pur previsto dalle disposizioni della Direttiva Macchine.
11. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila ciascuno, in favore della cassa delle ammende. Non debbono liquidarsi spese in favore della parte civile, tenuto conto che la medesima non ha formulato memorie e che secondo le Sezioni unite di questa Corte: “Nel giudizio di legittimità, in caso di ricorso dell’imputato rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all’udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all’art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza. (Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, Rv. 281923).

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/11/2021

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