Salute e sicurezza del lavoro nel Codice dei contratti

Pubblicazione di Marco Lai raffronto tra d.lgs. n. 81 2015 e n. 81 2008

Salute e sicurezza del lavoro nel Codice dei contratti

Salute e sicurezza del lavoro nel Codice dei contrattiNel presente contributo prenderemo in esame l'impatto che la disciplina contenuta nel d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (c.d. “«Codice dei contratti“»), attuativo del Jobs Act (legge-delega n. 183/2014), viene ad avere sull'impianto normativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro, definito dal d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i. Il raffronto tra, particolare coincidenza, i due d.lgs. n. 81/2015 e n. 81/2008, metterà  in rilievo gli aspetti della nuova disciplina delle mansioni e del riordino delle tipologie contrattuali che implicitamente rilevano in materia di salute e sicurezza, fermo restando che modifiche dirette al testo del d.lgs. n. 81/2008, sono apportate dal c.d. decreto “«semplificazioni”» (cfr. art. 20, d.lgs. n. 151/2015). Due osservazioni di carattere preliminare. Gli interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro si confrontano da tempo con la flessibilità  del lavoro. Al riguardo, nell'ambito del d.lgs. n. 81/2008, è da richiamare in special modo la previsione che obbliga il datore di lavoro a considerare nella valutazione dei rischi, anche i rischi “«connessi con la specifica tipologia contrattuale “» utilizzata (insieme a quelli connessi alla differenza di genere, all'età  ed alla provenienza da altri Paesi; art. 28, comma 1, d.lgs. n. 81/2008), in ragione della scarsa conoscenza dell'ambiente in cui si va ad operare. Se tra le finalità  della riforma del lavoro vi è il riordino e la semplificazione delle tipologie contrattuali (con superamento, tra l'altro, del lavoro a progetto), ripristinando come forma comune il contratto a tempo indeterminato, seppur “«a tutele crescenti”», pare opportuno perseguire tale obiettivo anche tramite azioni specifiche in materia di salute e sicurezza. Altro punto di attenzione è quello relativo alle condizioni legate all'età  dei lavoratori. Ciò non solo con particolare riguardo alla formazione alla sicurezza dei giovani neoassunti (cfr., tra l'altro, la disciplina dell'apprendistato e del lavoro intermittente) ma soprattutto alle condizioni di salute dei lavoratori anziani. L'innalzamento dei requisiti necessari per raggiungere il pensionamento, operato dalla legge n. 214/2011, comporta infatti un ripensamento non solo nella direzione della continuità  dell'impiego e del sostegno al reddito ma anche delle condizioni di salute, sia sul piano fisico che mentale, e di sicurezza dei lavoratori ultra 60/65 anni. Questione che verrà  ad interessare anche il rapporto assicurativo e che potrebbe essere affrontata attraverso soluzioni contrattuali, fiscalmente incentivate, di pensionamento flessibile (con part-time o riduzioni di orario), collegate eventualmente all'inserimento di giovani al lavoro. D'altro lato è da segnalare che nel nuovo quadro normativo posto dal contratto “«a tutele crescenti”», regolato dal d.lgs. n. 23/2015, che per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 rappresenta il normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, si collocano due fattispecie che impattano in tema di salute e sicurezza del lavoro: il licenziamento del lavoratore disabile ed il licenziamento del lavoratore in malattia. Mentre la prima è espressamente regolata dal d.lgs. n. 23/2015, la seconda non è in alcun modo considerata. L'art. 2, comma 4 del d.lgs. n. 23/2015, estende la disciplina della reintegra, con tutela economica piena, riservata ai licenziamenti discriminatori, anche “«nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità  fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68″». Tale disciplina, almeno in apparenza, pare migliorativa di quella in precedenza disposta dall'art. 18, comma 7, primo periodo, St. lav., come riformato dalla legge n. 92/2012, che stabiliva per detta ipotesi la reintegra con tutela economica attenuata (fino ad un massimo di 12 mensilità ), anche se il riferimento era, più propriamente, “«l'inidoneità  fisica o psichica”» e non la “«disabilità “» del lavoratore. Si può peraltro propendere per una nozione ampia di “«disabilità “», non legata ad una valutazione esclusivamente di carattere medico, secondo l'indirizzo della Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

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