D lgs 231 SENTENZA N.10265 2014

D lgs 231 SENTENZA N.10265 2014

Con sentenza n. 10265 emessa dalla Sezione V della Corte di Cassazione Penale, pubblicata il 4.3.2014, la Suprema Corte affronta, nella prima parte della motivazione, il tema dell'interesse o vantaggio quali criteri alternativi di imputabilità  dell'ente, in rapporto alla previsione di esclusione dalla responsabilità  231 nel caso in cui l'autore del reato abbia agito “nell'interesse esclusivo proprio o di terzi” (art. 5 co. 2 D.Lgs. 231/01).

Non è confiscabile l'ideale apprezzamento del patrimonio disponibile conseguito al doloso sottodimensionamento del patrimonio di vigilanza. Il tutto – precisa la Cassazione (sentenza n. 10265/14) – in quanto va preso in considerazione il concetto penale di profitto che deve essere considerato quale beneficio aggiunto di natura patrimoniale

Con sentenza del 25 gennaio 2012 la Corte d'appello di Milano confermava la condanna di (X) s.p.a. per gli illeciti amministrativi da reato di cui agli artt. 25 ter comma 1 lett. b) ed s) e 25 sexies D.Lgs. n. 231/2001, riducendo, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, il valore monetario del profitto oggetto di confisca ai sensi dell'art. 19 del suddetto decreto.

In particolare l'ente è accusato di aver tratto un profitto dalla consumazione a suo vantaggio o comunque nel suo interesse dei reati di false comunicazioni sociali dannose (art. 2622 c.c.), di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità  pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.) e di aggiotaggio informativo (art. 185 D.Lgs. n. 58/1998).

Reati commessi da (A) e (B) – all'epoca rispettivamente amministratore delegato e direttore generale dell'istituto – nell'ambito della gestione finanziaria in derivati operata da (X) nel corso del 2006. Tale gestione si era caratterizzata per la stipulazione con la clientela corporate della Banca di interest rate swaps, formalmente conclusi a “copertura” (hedging) dei rischi di fluttuazione degli interessi relativi ai finanziamenti concessi ai clienti, ma che in realtà  venivano ritenuti, in ragione della complessità  e rischiosità  degli strumenti prescelti, veri e propri prodotti speculativi.

Contestualmente l'istituto concludeva speculari contratti in derivati c.d. mirrored con controparti bancarie, anche in questo caso formalmente finalizzati a coprire l'ente dai rischi assunti con la propria clientela, ma invero costruiti in modo da consentire inizialmente di lucrare importanti upfront, versati in ragione del fatto che quelli trattati erano derivati not par, peraltro non retrocessi alla clientela, la quale però veniva esentata dal pagamento dell'elevato costo di chiusura anticipata dei contratti (unwinding), pratica a cui invero veniva fatto frequente ricorso.

SENTENZA N. 10265 2014SENTENZA N.10265 2014

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